La Scienza Segreta dell'Arte Narrativa
Il nuovo Portale dell’Istituto MetaCultura dedicato allo Studio della Narrazione Artistica in ogni Forma Espressiva. Un Ambiente educativo e formativo rivolto a chiunque, per passione o professione, voglia scoprire e apprendere, insegnare e praticare la lezione metodologica racchiusa nelle opere dei Maestri.
La nostra Ricerca
6. Il Progetto di software ipermediale
Un libro-quaderno di studio, di lettura, e iperscrittura
Un manuale-diario-notebook
Un editor che crea mappe e indici di documenti correlati e correlabili e di criteri di correlazione attivati e attivabili
Il software ipermediale che intendiamo finalmente realizzare, incoraggiati dal successo del nuovo Portale, è uno dei risultati della nostra esperienza decennale di ricerca intorno alle applicazioni ipermediali; ma è anche lo strumento che ci occorre per operare quel salto di qualità, nella costruzione di ausili per studiare e fare arte con la scienza, in cui la soluzione tecnologica utilizzata può fare la differenza.
Questo progetto è stato concepito e rielaborato nel corso degli anni per agevolare e rappresentare lo studio delle connessioni Intra e Inter testuali tra fenomeni complessi come quelli artistici e scientifici.
L’idea di realizzare un software più adatto a supportare il tipo di attività che noi svolgiamo sin da quando ancora non avevamo computer e applicazioni software ad aiutarci nell’impresa, è nata e si è sviluppata non appena abbiamo iniziato a ricercare e a testare le applicazioni software in commercio, per capire quali fossero più adatte ai nostri scopi. E non trovando strumenti adeguati, abbiamo cominciato ad adattare quelli esistenti, piegandoli non senza fatica ad utilizzi per cui non erano stati propriamente immaginati e costruiti.
Il problema è che chi progetta i software spesso non ha un’idea chiara degli utilizzi che se ne faranno, e perciò prevede funzioni inutili e non prevede funzioni utili. Questa premessa ci perseguita sin da quando abbiamo scoperto che le applicazioni principali pensate per i computer – senza considerare quelle pensate per i dispositivi mobili – erano state concepite (e lo sono ancora) per «automatizzare» quelle attività che già si svolgevano prima di avere a disposizione un pc e delle applicazioni adatte per svolgere diverse attività.
La “macchina per scrivere”, la “calcolatrice”, il “tavolo da progettazione e impaginazione”, diventarono quello che nella mente miope degli sviluppatori si chiamò “Office”, cioè un ufficio dentro il computer, per svolgere più rapidamente e con maggiore precisione le medesime attività «da ufficio» (per lo più ripetitive e alienanti) che si svolgevano già da prima senza un computer. Non di meno anche i software per l’«editing» (di audio e video, di testi letterari e di immagini) furono concepiti come delle «centraline» o «postazioni» di montaggio, destinate In definitiva alla realizzazione di un prodotto che aveva le stesse caratteristiche di quelli realizzati nel mondo analogico; anzi alla fine per diversi anni fu stampato ancora su supporti analogici come la carta e la pellicola. Così si può dire che quello che si otteneva con quell’«ufficio elettronico» era lo stesso risultato che si otteneva prima – con più fatica – attraverso macchine da ufficio che – a differenza di quelle che si servivano dell’automazione elettronica – richiedevano maggior lavoro e comportavano più errori da parte degli uomini che li utilizzavano. Il montaggio non lineare era destinato alla produzione di un film lineare da stampare e proiettare in sala su grande schermo o in casa con un videoproiettore; il pdf che si ricavava dall’impaginazione elettronica di un testo letterario con immagini era destinato alla stampa di un libro che finiva sugli scaffali di un negozio e della libreria che ancora faceva sfoggio nelle case di persone acculturate.
Fin dall’inizio della nostra attività trovammo quantomeno strano che la tecnologia elettronica – in particolare quella informatica – fosse Intesa semplicemente come una «utility» per facilitare delle attività che in ogni caso erano destinate ad ottenere gli stessi risultati che si ottenevano per via analogica. Da allora, nel nostro piccolo, provammo (con due pubblicazioni e diversi convegni organizzati insieme ad partner istituzionali come il Teatro La Fenice di Venezia, lo IUAV di Venezia, il sindacato cinema …) a sensibilizzare sia il mondo tecnologico sia il mondo produttivo dell’editoria letteraria e audiovisiva, sollecitando la realizzazione di nuovi prodotti «multi e iper mediali» e mostrando «prototipi» di quello che si sarebbe potuto realizzare creando addirittura un nuovo mercato editoriale. Purtroppo, anziché favorire la nascita di nuove applicazioni scientifiche, educative, e artistiche, abbiamo potuto solo prevedere e annunciare la nascita di quel mercato che si sarebbe giovato ampiamente di queste possibilità tecnologiche, per creare scenari e avventure multidimensionali, oltre che multimediali: quello del puro e alienante «intrattenimento», paradossalmente nato come un antidoto per il dopolavoro, un mezzo per dimenticare le frustrazioni quotidiane, destinato però a creare dipendenza parossistica come ogni droga pesante. Ci sembrava già chiaro che, senza una politica culturale e educativa virtuosa, i videogiochi, monopolizzando il nuovo mercato dell’intrattenimento, avrebbero presto soppiantato il cinema, che, con la sola novità costituita dall’introduzione degli «effetti speciali» – nei film ancora concepiti e realizzati come eventi dimenticabili di una costosissima macchina produttiva – avrebbe finito per produrre lunghi e antieconomici trailer per i videogiochi stessi. E ancor prima e più facilmente i videogiochi avrebbero soppiantato anche quell’editoria letteraria che, con le ambigue soluzioni dell’“Edutainment” e dei “game-book”, non ha saputo osare e non ha potuto competere con veri e più accattivanti game ipertecnologici che non richiedono neppure la lettura da parte dei loro utenti, e non hanno pretese pedagogiche.
Ad oggi, dallo sfacelo editoriale si è salvato solo il mercato dell’editoria scolastica, mantenuto anche dalle sovvenzioni statali e dall’obbligo oneroso per le famiglie di acquistare tonnellate di libri destinati al macero, ma che ogni anno «miracolosamente» vengono aggiornati per costringere a nuovi acquisti; questo continuerà fintanto che l’adozione di tablet ed e-book non consentirà di alleggerire il peso degli zaini e di non impoverire i borsellini delle famiglie (o dei Comuni e delle Regioni che con i loro bonus libri contribuiscono a rimandare il problema dell’eliminazione dei libri cartacei). Questo tipo di Editoria purtroppo contribuisse al rallentamento della rivoluzione digitale anziché favorirla, perché cerca solo di resistere e riproporsi così come è fingendo di cambiare; ma pur dotandosi di bonus multimediali e di espansioni online, con tattiche di pura sopravvivenza, sta finalmente rivelando tutta la sua inadeguatezza, non solo e non tanto nella partita che non può vincere contro i socialmedia e i videogiochi che hanno soppiantato qualunque altro mezzo di inculturazione ed educazione proponendo un succedaneo che degrada anziché educare; ma anche perché non ha saputo sfruttare le possibilità tecnologiche disponibili da alcune decine di anni per studiare e proporre finalmente un nuovo tipo di strumento di studio che superi i limiti di quel «sussidiario» e di quella «antologia» che hanno accompagnato malamente i percorsi scolastici di tante generazioni senza offrire loro un reale aiuto, ma semmai un ulteriore complicazione per l’apprendimento. Nel momento in cui la tecnologia consentiva di superare finalmente quei limiti, ha finito persino per peggiorare la qualità e l’efficacia di quei libri che dovrebbero essere strumenti di crescita e non ostacoli alla crescita. L’Editoria scolastica insieme all’attuale Scuola, politicamente corretta ma incapace di svolgere il suo compito istituzionale, non incide sull’analfabetismo a cui sembrano condannate le nuove generazioni felici di trasferire la loro vita nei Social, che non richiedono alcuno sforzo letterario e cognitivo.
Ci sono voluti anni perché a qualcuno venisse in mente – mentre il mercato dei videogiochi già fioriva con applicazioni interattive e ipermediali – che con le possibilità delle tecnologie elettroniche si potessero realizzare prodotti per il mercato editoriale che non fossero simili quelli a che si erano prodotti con le tecnologie analogiche. Ci provò la Apple, alla fine degli anni ottanta, proponendo come programma base, introduttivo all’utilizzo del computer, una piccola ma potente applicazione «ipermediale» chiamata “Hypercard”. Ma dal momento che la stessa Apple e gli utilizzatori non vi trovarono possibilità applicative se non quella di realizzare delle «slide» letterarie e grafiche da proiettare per fare presentazioni aziendali o ricerche scolastiche, finì accantonata. Così anche la Apple finì per adottare “Office” e proporlo ai propri utenti in “versione per Mac”, almeno fino a quando non si decise a rilasciare due applicazioni interessanti – ma non troppo innovative – come “Keynote” e “Pages”: l’una che potenziava le caratteristiche di un software per presentazioni (scolastiche e aziendali o commemorative) come “PowerPoint”, e l’altra che, semplificando le caratteristiche degli impaginatori professionali, si rivelò di grande utilità soprattutto nel momento in cui l’editoria analogica entrò in crisi – ovvero la stampa dei libri diventò meno interessante agli occhi di quegli utenti e professionisti che cominciavano a convertirsi all’editoria digitale dei pdf e poi degli ebook, e non avevano più bisogno di un’applicazione tanto complessa ma anche tanto difficile da usare.
Sia Pages che Keynote prevedono in uscita la produzione di PDF, cioè di documenti leggibili e condivisibili su qualunque piattaforma con un semplice lettore di questo formato universale che, quando fu creato, sembrò la soluzione ideale per l’editoria digitale offline, cioè un oggetto da inviare e condividere scaricandolo e fruendolo sul proprio computer.
Ma siccome il formato PDF era nato per supportare l’editoriale analogica, cioè per fornire agli Stampatori un documento che inglobasse le font e mantenesse l’impaginazione creata dagli autori – che nel frattempo erano diventati anche editor dei loro stessi testi – ha finito per perdere la partita non solo con il nuovo mercato digitale – che sta cancellando i libri dai mezzi di comunicazione – ma anche con l’editoria elettronica, che ha scelto un nuovo formato che si è subito andato affermando insieme alla rivoluzione introdotta dal Kindle. Quest’ultimo all’inizio si identificava con un dispositivo e con un formato proprietario, ma poi, per sopravvivere, si è adattato al formato universale, l’ “epub”, che ormai è condiviso da tutti i dispositivi mobili, e con cui è possibile leggere, cioè fruire soltanto, libri (e-book) disponibili in librerie su cloud, cioè online.
Ma i libri online sono ancora concepiti come se fossero libri cartacei senza la carta. Ancora una volta si è persa l’opportunità di realizzare, attraverso tecnologie elettroniche, prodotti che non fossero imitazioni di quelli analogici, e come tali non apparissero innovativi al confronto con ciò che da secoli si usa per memorizzare e fruire informazioni. Se l’ “epub” oggi sta lentamente vincendo la sua battaglia con l’editoria analogica è solo perché il Kindle ha mostrato che il prodotto digitale on-line può abbattere i costi per il lettore; o dovremmo dire che «li potrebbe abbattere», se solo gli editori o gli autori – che in molti casi coincidono – non fossero così esosi da pretendere guadagni maggiori di quelli di cui potrebbero più che accontentarsi, dal momento che, grazie all’editoria digitale, si vengono a cancellare le spese per la stampa e la distribuzione, e rimangono solo quelle per l’ideazione, lo sviluppo e la promozione.
Il fatto che il libro elettronico continui a promettere ma non a offrire quel «valore aggiunto» che non può e non deve consistere nei “bonus” integrativi che si appendono come palle all’albero di Natale-libro, o in quelle “note” che diventano “pop-up”, o in quelle “illustrazioni” che diventano “multimediali”, penalizza e ostacola la crescita dell’editoria elettronica, anche e soprattutto perché gli editori e gli autori vedono nell’editoria elettronica non un salto di qualità, non la possibilità di realizzare nuovi tipi di prodotti, ma semplicemente un’opportunità per moltiplicare i guadagni.
Infatti il maggiore ostacolo lo creano loro stessi, pretendendo di poter vendere allo stesso lettore, o a lettori diversi, sia l’edizione analogica sia l’edizione digitale, non avendo compreso che in questo periodo di transizione – come è avvenuto per la musica – sarebbe d’aiuto proporre in un’unica edizione le due versioni, eventualmente con una piccola spesa aggiuntiva per la stampa. Questa soluzione è stata adottata ed è ancora adottata dagli editori musicali, che offrono al lettore la possibilità di acquisire solo le tracce audio in mp3 da fruire online o da scaricare, ed eventualmente anche il CD, oppure di acquistare il CD e di avere come “omaggio” le tracce audio disponibili online.
Sia pure con qualche riserva lo ha capito persino l’editoria audiovisiva, che oggi più che altro cerca di riciclare i vecchi DVD in “versione Combo (Blu-ray + DVD + Digital Download)” mentre contemporaneamente offre ai fruitori più esigenti, ma non per questo più preparati, un’edizione 4K. Tuttavia questi espedienti per continuare a riciclare, mantenere in vita e sfruttare modalità editoriali che portavano evidentemente maggiore lucro a chi le realizzava, si stanno rivelando inefficaci di fronte all’arrivo delle “Piattaforme Distributive Online”anche per l’audiovisivo.
L’annuncio recente da parte della Walt Disney, che ha deciso di cessare la produzione di video su qualunque supporto, segue ironicamente – a distanza di anni – la decisione, che fece tanto discutere, presa da Steve Jobs in anni in cui ancora si pensava di poter continuare a distribuire l’audiovisivo su disco mentre la musica era già tutta online con la stessa iTunes di Apple, seppure non ancora in abbonamento unlimited. Steve Jobs fu il primo a eliminare dai computer i lettori di CD/DVD e ad evitare quelli di blu-ray, che mai furono introdotti da Apple nelle proprie macchine.
Ma mentre tutto il mercato editoriale, spaventato dal timore di perdere i lauti guadagni del passato (per la stampa e la distribuzione di opere destinate al macero o alla distribuzione dei mercati del terzo mondo) cerca ancora disperatamente di non adattarsi alla nuova realtà delle Piattaforme su cui tutti i nuovi e vecchi “contenuti” (così vengono chiamati i “titoli” che prima venivano identificati con i “supporti”) vengono distribuiti allo stesso pubblico che prima era solo un consumatore per appuntamento di palinsesti televisivi.
La novità è che ora, lo stesso pubblico prudente e diffidente, che fino a poco tempo fa «collezionava» cd dvd e libri cartacei, si sta abituando all’idea che la fruizione avverrà in streaming, su cloud, per abbonamento e/o On Demand. Le generazioni native digitali non sanno neppure cos’è la «televisione», e per lo più non comperano libri, nemmeno su Kindle. In questa situazione critica ma ricca di potenzialità anche il Kindle sta perdendo la sua identità hardware e sta diventando una piattaforma di contenuti, per lo più on demand, ma cautamente anche unlimited e comunque su cloud, nonostante consenta quel limitato download sui dispositivi che ancora è previsto per i casi in cui l’utente si sposti in aree non coperte dalla rete internet. Ma dal momento che il mondo si sta tutto cablando, e dal momento che le tecnologie satellitari consentono di coprire quasi l’intero pianeta, già da ora e nel prossimo futuro la parola “download” sarà sempre meno usata, perché gli stessi utenti che realizzeranno e conserveranno i propri “contenuti” su Drive online – come quello di Google – saranno anche abbonati a piattaforme che consentiranno loro di accedere ai contenuti digitali online di cui avranno acquistato il diritto d’uso limitato o illimitato per tutta la vita (quella propria, senza poter trasmettere quegli stessi contenuti in eredità ad altri come fossero una propria biblioteca).
Questa accelerazione fa finalmente fa emergere quel Mondo dell’Informazione proprio dell’Era Digitale, in cui si è entrati, però, come se fosse ancora l’età della Pietra, o, come alcuni dicono, del Silicio. La causa di questa svolta va ricercata nei progressi del mercato musicale, che si è emancipato dai supporti prima di qualunque altro mezzo.
Il problema è che gli autori-produttori-distributori sono ancora tutti impreparati ad affrontare una rivoluzione digitale che la tecnologia ha imposto loro senza che né gli sviluppatori tecnologici né gli utilizzatori della tecnologia potessero immaginare dove potesse portare.
L’editoria letteraria, paradossalmente, pur essendo quella più antica e anche quella più conservatrice e meno preparata ad accettare il cambiamento, non sta facendo più resistenza di quella audiovisiva, o dovremmo dire cinematografica, ancora controllata dai feticisti della pellicola, delle camere iperbariche per la conservazione delle bobine, e del restauro costosissimo dei supporti (la pellicola) e non delle informazioni memorizzate sui supporti.
Ma la decisione presa dalla Walt Disney – cioè da una delle maggiori case di produzione e soprattutto da uno dei maggiori produttori di intrattenimento mondiale – mette un punto, e costringe tutti a voltare finalmente pagina.
L’editoria letteraria continua la sua resistenza grazie anche al supporto degli esercenti, delle catene delle librerie, degli store e dell’appoggio dei giornali, delle edicole, e di tutta quella filiera che esiste ormai solo come monumento di se stessa, avendo perso irrimediabilmente la sua funzione.
I termini stessi “cinema” e “televisione” sono ormai diventati privi di senso e vanno sostituiti con altro, perché la televisione intesa come apparecchio, e il cinema inteso come sala, stanno scomparendo per lasciare posto ad una distribuzione di contenuti fruibili su qualunque dispositivo, compresa la possibilità di ricreare in casa una sorta di cinema su grande schermo attraverso videoproiettori ad altissima risoluzione. Fanno pena ormai quelli che si ostinano a ristampare pellicole per richiamare il pubblico in sala, e a mantenere aperte le sale a qualunque costo. Festival e serate di Premiazioni come gli Oscar, che non interessano più neppure alle televisioni commerciali, hanno assunto il triste significato di commemorazioni di un mondo che non ha saputo rinnovarsi per continuare a vivere.
Non possiamo più ripristinare gli equilibri a cui eravamo abituati riguardo la produzione e distribuzione tanto dei contenuti con ambizioni artistiche quanto di quelli pensati per soddisfare il mercato dell’ intrattenimento. Fino ad un certo punto della nostra vita li abbiamo acquistati su un supporto, o siamo andati a fruirli pagando un biglietto per entrare in certi spazi appositi come sale cinematografiche sale teatrali e sale espositive. Ora sono arrivati i videogiochi digitali che hanno fatto piazza pulita anche delle sale da gioco (persino quelle d’azzardo). Questi prodotti senza ambizioni artistiche – anche se per giustificarne l’invadenza si attribuisce loro persino qualche qualità artistica – hanno introdotto e continuano a introdurre novità nello sviluppo e nello sfruttamento delle possibilità tecnologiche, che fanno apparire invecchiati, come prodotti preistorici, tutti i prodotti preesistenti destinati al “tempo libero, al gioco e al divertimento, ormai diventati fenomeni di nicchia per nostalgici e feticisti. I film, i libri, i giochi da tavolo, le mostre, gli spettacoli teatrali – e di conseguenza le sale cinematografiche le sale da gioco e persino i teatri – sono tutti ormai a rischio di estinzione. Tutto quello che fino ad oggi ha costituito l’infrastruttura per l’educazione, l’informazione e lo spettacolo, rischia di essere rimpiazzato dall’universo dell’intrattenimento, che si espande intorno ai videogiochi ed è supportato dai Social (giocatori Youtuber, cosplay tiktokers …). L’universo dell’intrattenimento che sta costringendo il cinema a produrre film solo di supereroi e l’editoria a stampare fumetti, sta coprendo tutti gli spazi occupati dall’audiovisivo, dai festival, dalla lettura, dai giochi, semplicemente perché, sia pure in modo riduttivo e grossolano, crea universi narrativi e multiespressivi in cui gli utenti possono muoversi reticolarmente, seguendo intrecci che si compongono sotto i loro occhi e continuando a esplorare universi narrativi che si espandono di continuo con nuove implementazioni (nuovi capitoli e nuove espansioni) tanto attese dai giocatori quanto economicamente remunerative per chi ci investe risorse.
Il prodotto audiovisivo prova a stare al passo con questi cambiamenti. Le serie televisive, attraverso saghe e infiniti sequel, cercano di dare agli utenti un’esperienza simile, ma si rivelano solo trailer di quello che poi i videogiochi offrono meglio, ovvero con più soddisfazione per gli utenti e sicuro successo economico (a fronte di investimenti anche maggiori) per i produttori (che investono milioni e guadagnano miliardi). Inoltre nei videogiochi già non ci sono più gli attori in carne ed ossa, ma semmai avatar che sviluppano, migliorandoli, i tratti scansionati di attori famosi.
Nei nuovi videogiochi 3d interattivi i set cinematografici costosissimi sono stati sostituiti da scenografie virtuali sempre più facili da ottenere anche grazie all’intelligenza artificiale. E anche se le sceneggiature lasciano a desiderare, il confronto impietoso con i film, le serie televisive, e i romanzi che si pubblicano adesso – senza le qualità dei classici – fa sì che i videogiochi possano avere facile vittoria.
D’altro canto, se l’educazione all’arte non è più contemplata dall’attività educativa e formativa, non ci si può poi lamentare che un utente impreparato preferisca seguire una serie di videogiochi, magari promossa da una serie televisiva, piuttosto che leggere Anna Karenina, da cui, essendo impreparato, non trarrebbe granché.
Il mercato dell’intrattenimento digitale, sostenuto da (ma anche sostenitore di) sempre nuove applicazioni dell’intelligenza artificiale, sta inglobando ogni fenomeno culturale. In questo clima si sta anche facendo strada l’illusione di poter affidare ad un automa le capacità elaborative di uno scienziato e di un artista per creare intrecci narrativi altrettanto appassionanti di quelli che hanno contribuito a fare di alcuni film vere e proprie opere d’arte e a dare a tanti film un successo planetario. Con questa decisione, contestata da tutto il mondo analogico dello spettacolo, che si sente minacciato nelle sue fondamenta (gli attori rimpiazzati da avatar digitali, i set rimpiazzati da scenografie virtuali …), da un lato si stanno superando i limiti fisici e i problemi economici che hanno reso per tanto tempo lo spettacolo un investimento economico molto rischioso, da un altro però si stanno attaccando anche quei ruoli che non sono assimilabili a quelli della vita ordinaria, basati su automatismi, e perciò rimpiazzabili da più efficaci automi. D’altro canto, se per i ruoli cosiddetti creativi, o meglio autoriali, l’ingegno umano è necessario e non è riducibile a ripetizioni e insignificanti variazioni, viceversa nella produzione standardizzata di genere (vedi i manga, i cartoni giapponesi, e quelle serie in cui non si distingue un episodio dall’altro), la ripetizione prevale sulla variazione, e non è richiesta quella invenzione di soluzioni che caratterizza l’arte. In altre parole si sta pericolosamente sottovalutando il ruolo che hanno gli autori – cioè gli scrittori, sceneggiatori, drammaturghi – nel funzionamento di opere complesse che richiedono un’adeguata preparazione da parte di chi le fa e da parte di le fruisce.
Nel momento in cui l’arte viene quasi cancellata dal mercato, e tutto si appiattisce verso l’intrattenimento, diventa una guerra per accaparrarsi quel pubblico impreparato che non deve distinguere tra maggiori o minori qualità, ma tra la quantità e il prezzo da pagare o l’apparente novità dei prodotti che gli vengono offerti.
Tornando al punto da cui siamo partiti, vogliamo dire che quello che non è riuscito a fare l’editoria letteraria digitale lo stanno facendo i videogiochi, pur con tutti i difetti provenienti da presupposti economici, non artistici, che penalizzano e ostacolano ogni attività che per coltivare vere ambizioni artistiche non sia competitiva con i successi commerciali dell’industria dell’intrattenimento.
L’Editoria elettronica avrebbe potuto fare da traino alla rivoluzione culturale della nuova era digitale; avrebbe potuto essere – e forse sarà un giorno sarà – la nuova Rivoluzione della Scrittura dopo la Stampa. Questo errore è stato causato anche dalla Concezione della rete internet come «vetrina per prodotti analogici», piuttosto che essa stessa come un prodotto digitale da fruire, ovvero come rete di servizi erogabili online. Questo errore, che si ripete da alcune decine di anni, sta rimandando una inevitabile profonda rivoluzione che – come ci ricorda Theodor Nelson – non è ancora iniziata. O forse è appena iniziata proprio con l’annuncio svolta da parte della Disney, e soprattutto con la crescita delle «Piattaforme», che, almeno per la musica, offrono già quello che dovrebbe offrire tutta l’editoria, cioè un vero «Unlimited online» che cancelli definitivamente la distribuzione «su supporto», che superi l’«on Demand», e di conseguenza batta persino la «Pirateria». Spotify è l’esempio a cui ispirarsi. La piattaforma musicale più estesa ha preso il posto di ciò che Napster diceva di voler essere, proprio mentre faceva il contrario, cioè semplicemente rubava agli autori la possibilità di vivere facendo il mestiere più bello del mondo cioè l’arte.
Le difficoltà a tutelare il Diritto d’autore – e al contempo il diritto all’informazione e alla formazione, nonché tutte le attività educative e formative – non si risolvono semplicemente cancellando il «diritto d’autore». Tuttavia ciò che la pirateria rivela con la sua stessa esistenza è un problema più grande e non ancora affrontato, o non affrontato adeguatamente. Ma di ciò non vogliamo occuparci ora, se non a latere, perché questo ci porterebbe ad affrontare il problema delle politiche culturali e delle professioni umanistiche, che richiede una trattazione apposita e a parte. In altre sezioni del Portale troverete molto a riguardo.
Ciò di cui vogliamo parlarvi qui riguarda le ragioni per le quali abbiamo pensato di sviluppare noi stessi un software più adatto – anzi concepito appositamente – per realizzare i servizi educativi e formativi che avrete a disposizione nella nostra Scuola, dove, con il supporto dei nostri strumenti di studio, potrete imparare voi stessi ad anatomizzare e ad elaborare progetti artistici, indagando l’architettura ed esplorando le correlazioni interne ed esterne di quei tesori della tradizione umanistica che, immaginiamo, saranno sempre più disponibili online, come potenziali risorse esterne curate da enti e autori che ne consentiranno l’accesso gratuitamente o alle condizioni che loro stessi stabiliranno.
Per comprendere le ragioni che ci spingono a compiere questo nuovo importante passo nella nostra attività bisogna considerare anzitutto gli errori compiuti dall’Editoria Elettronica, che, almeno inizialmente, sembrava nata per convertire l’editoria analogica in una nuova forma di produzione e distribuzione che consentisse non solo di continuare a fruire meglio i prodotti letterari della tradizione, ma anche di realizzare nuovi prodotti – letterari e non, persino multiespressivi – che sfruttassero appieno le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Questa occasione è andata persa, fino ad oggi, e noi ne siamo testimoni in quanto siamo stati siamo danneggiati e ostacolati proprio dalle decisioni miopi di editori tradizionali e digitali, tutti impegnati allo stesso modo nel mostrare finti cambiamenti per ritardare più possibile quelli reali.
Potremmo raccontarvi molte storie relative a quando presentavamo i primi prototipi di «Sistemi Ipermediali» in Incontri Pubblici e Convegni specialistici relativi sia all’Editoria Elettronica, Scolastica, e per Ragazzi, sia alla Valorizzazione dei beni artistici. In quei Consessi nazionali e internazionali, promossi da Università, Teatri, Fiere dell’innovazione tecnologica, pur ottenendo sempre grandi apprezzamenti, non trovammo mai Editori disposti ad aiutarci veramente. Mentre si complimentavano spaventati e increduli dei risultati da noi ottenuti ci dicevano che “noi andavamo tenuti in frigorifero”, affinché loro potessero smerciare ancora per un po’ prodotti analogici, prodotti misti, o prodotti tecnologici editoriali digitali ricavati «addobbando» quelli analogici, così da non dover sostenere immediatamente quegli investimenti che richiedono prodotti come i nostri, più simili alle produzioni audiovisive, anche se non così costosi, che non ai libri tradizionali.
Questa diversità di intenti tra i nostri progetti e quelli degli Editori, che esitavano a fare i passi necessari per entrare nel mondo digitale, ci è apparsa chiara quando alcuni di essi, apparentemente interessati alle nostre innovazioni, ci proposero di sostenere noi tutte le spese produttive e di essere nostri partner nella sola distribuzione. Così avremmo diviso «equamente» gli introiti, che per loro sarebbero stati guadagni senza investimenti, mentre nel nostro caso sarebbero serviti a recuperare lentamente i nostri investimenti sia ideativi che produttivi. Ad essere più precisi alcuni di essi sembravano cascare dalle nuvole di fronte alla scoperta che le spese per realizzare prodotti editoriali elettronici di nuova concezione, come quelli di cui mostravamo loro i prototipi, potessero essere maggiori di quelle poche sostenute da un autore per scrivere e impaginare al computer un libro, e perciò da considerarsi incluse, a loro avviso, nella percentuale sui guadagni ottenuti dalle vendite riconosciuta all’autore stesso (che peraltro sappiamo bene a quanto poco corrisponda per le pubblicazioni di libri cartacei in tutti i casi in cui l’autore non sia già un produttore di bestseller in grado di negoziare i suoi compensi). Anche sotto questo aspetto era difficile far comprendere ad un Editore – che ancora oggi si considera IL produttore anche se non deve stampare e neppure impaginare più nulla – che per realizzare quella nuova generazione di prodotti elettronici di cui avevamo mostrato i prototipi occorressero investimenti produttivi che noi autori non potevamo sobbarcarci, a cominciare dalle spese per un team tecnologico più simile a quello necessario per realizzare un film che un libro, o, come sarebbe accaduto a breve, più simile a quello necessario per realizzare un videogioco competitivo in grado di superare le aspettative degli utenti.
Il problema che non essi capivano era che i nostri nuovi prodotti, pensati per una nuova Editoria Elettronica, erano adatti non a raccontare una storia ma un labirinto di storie, e non soltanto a raccontarle ma anche a studiarle a più livelli e per varie funzioni, da quella educativa a quella professionale autoriale. Infatti il Sistema di Studio che noi eravamo in grado creare non era paragonabile a un apparto critico, non era un saggio introduttivo o un insieme di note da appendere al testo oggetto della pubblicazione, ma una serie di manuali interconnessi per poter studiare i testi ma anche per apprendere un metodo di studio. Per noi – a differenza degli Editori – non si trattava di rieditare in forma digitale un libro del loro catalogo, ma di creare un reticolo di racconti, di studi, e di teorie, tutti interconnessi tra loro in modo da ottenere un’integrazione virtuosa tra narrativa + saggistica + manualistica in uno stesso «Sistema di Studio Reticolare” (che allora chiamavamo “Tela Ipermediale) e da favorire, dall’interno del Sistema stesso, l’esplorazione di un ampio universo narrativo (costituito da racconti imparentati tra loro come varianti implicite di modelli logici e archetipici) insieme all’apprendimento di strumenti scientifici applicabili allo studio dell’arte narrativa.
Se gran parte degli ostacoli ai nostri piani provenivano dall’Editoria, ancora aggrappata ai vantaggi a lungo ottenuti dal mondo analogico, nondimeno alcuni ostacoli provenivano da alcuni limiti non ancora superati dalle soluzioni tecnologiche di cui potevamo disporre. Le tecnologie digitali per la multi e iper medialità non erano pienamente sviluppate, e non potevano avvalersi del supporto della rete (erano per lo più offline); inoltre non erano sfruttate appieno dagli sviluppatori, che, per pregiudizi e automatismi dovuti al retroterra analogico, non riuscivano ancora a prevederne utilizzi che non fossero quelli provenienti dal mondo pre-digitale.
Da allora noi abbiamo creato diversi prototipi, concepiti per sfruttare dapprima le sole tecnologie offline, poi quelle online. Ma anche con le nuove possibilità offerte dalla rete e dall’infrastruttura potenzialmente reticolare basata sull’html, i problemi che permangono oggi sono soprattutto di natura metodologica, perché il modo di concepire il prodotto editoriale, da parte di chi lo realizza e lo distribuisce, e da parte di chi lo fruisce, continua ad essere condizionato da alcuni presupposti ideologici provenienti dal mondo analogico ed ereditati dal mondo dei nuovi media.
Così oggi i problemi che affrontiamo nel realizzare i nostri prodotti e servizi hanno ancora origini sia tecnologiche che metodologiche. I primi riguardano lo sviluppo di strumenti più adeguati a supportare la realizzazione di prodotti non «lineari» ma «reticolari». Fino ad oggi la «non linearità» è stata considerata solo come uno strumento, per l’editing, adatto a realizzare più facilmente prodotti comunque lineari.
Ciò che noi abbiamo proposto, sin dagli albori dell’editoria elettronica, è stato realizzare una nuova generazione di prodotti ispirata a quei contenuti che nell’editoria analogica stavano «stretti» in edizioni lineari: ad esempio quei manuali concepiti per favorire letture e riletture da più prospettive e aiutare gli utenti a comprendere e padroneggiare meglio una materia di studio. Così mostrammo come, grazie alla reticolarità, si potessero non soltanto «rileggere», ma addirittura «riorganizzare» i contenuti, associandoli tra loro e ad altro da diverse prospettive, e in questo modo – attraverso più connessioni – si potesse anche facilitare la loro memorizzazione.
Ma il problema non è esclusivamente tecnologico. Anzi, il problema maggiore oggi è di carattere metodologico. E tutti possiamo rendercene conto ripensando ai momenti in cui, sin dall’infanzia, ci è stato chiesto di imparare a memoria una quantità di documenti separati tra loro. Le difficoltà incontrate dipendono infatti dal funzionamento della nostra mente, che non è fatta per ingoiare tanti contenuti e memorizzarli l’uno distinto e scollegato dall’altro, o gerarchicamente connessi l’uno univocamente dipendente dall’altro.
Quando proviamo a ingoiare indigesti «treni di informazioni» semplicemente divise per «vagoni», ovvero per «capitoli» dipendenti l’uno all’altro, linearmente e gerarchicamente, dobbiamo sperare che riusciremo a ricostruire il filo delle informazioni così come le abbiamo memorizzate, così come erano state organizzate da chi ce le ha fornite. Ma anche in tal caso, con il passare del tempo le perderemo, perché non siamo riusciti a collegarle, in ingresso, una ad una ad altre informazioni già depositate nella nostra memoria. Quello che chiediamo di fare alla nostra mente quando cerchiamo di memorizzare tanti dati in fretta per un’occasione importante come un esame, senza averli organizzati reticolarmente, è qualcosa di innaturale. L’unico modo per memorizzare una quantità di informazioni introdotte tutte insieme, come se fossero un unico oggetto indivisibile, è infatti quello di segmentarle e di collegare ciascuna unità ad una molteplicità di altre unità. E l’unico modo per non perderle è quello di «linkare» ogni nuova informazione ad altre che già possediamo. Imparare a memorizzare richiede la «capacità di connettere» ciò che comprendiamo ad altro che abbiamo già compreso.
Questo, peraltro, ci consente anche di trarre, dalla «correlazione» tra nuove informazioni e altre già depositate, ulteriori informazioni che noi ricaviamo elaborando quelle che già possediamo. Queste informazioni nuove, che di solito chiamiamo «scoperte» e «invenzioni», non si possono ottenere senza un metodo di studio che si basi sulla «struttura delle correlazioni», sulla «capacità di connettere» informazioni per «ricavarne» di nuove. Questa attività dovrebbe essere praticata nella Scuola come basilare e interdisciplinare educazione alla conoscenza e all’intelligenza, fin dall’infanzia.
Ma questo di solito non avviene, né nella scuola dell’obbligo né oltre fino agli studi accademici, dove il «metodo scientifico», quando è studiato, non è applicato alla «materia umanistica» per eccellenza, l’arte, al posto della quale sono studiati fenomeni culturali di carattere storico e antropologico, per trattare i quali si sono persino coniate delle nuove scienze o pseudoscienze, tutte condizionate dal pregiudizio empirico, e chiamate presuntuosamente “scienze umane”. A poco è servito fino ad oggi che alcuni studiosi abbiano tentato di portare il metodo logico della ricerca della scoperta in campi dove ancora dominano l’erudizione, il metodo storico e quello sociologico.
Se gli autori di romanzi con ambizioni artistiche non hanno quasi mai sfruttato la possibilità di comporre opere in forma di «puzzle» – o meglio di «labirinto» – cioè percorribili da più ingressi e tracciando più percorsi, viceversa gli studiosi e autori di manuali sino sono almeno posti il problema. Uno dei nostri maestri – Alberto Cirese – se lo è posto ancora in tempi analogici dando ai suoi studenti la possibilità di leggere e rileggere il suo manuale saltando da un capitolo e da un paragrafo all’alto con tanti rimandi bidirezionali che favorissero lo studio della stessa materia da più prospettive metodologiche. Il suo esempio di organizzazione sistematica e reticolare delle informazioni ci ha indotti a ripensare tutta la sua opera saggistica come un unico manuale di scienze antropologiche. Ciò che ne è derivato è uno strumento di studio più adatto non solo a memorizzare meglio le informazioni ma anche a ricavare da esse una lezione di metodo.
La riorganizzazione reticolare delle informazioni permette di imparare a controllare progettualmente il flusso delle informazioni e di dare ad esso la forma di un labirinto narrativo che prevede e suggerisce diversi possibili intrecci, perché consente di scoprire come la stessa informazione possa acquisire diverso valore connettendola ad altre.
Ci sono molti testi, che noi abbiamo chiamato «pre-elettronici», che sono stati concepiti reticolarmente, ma realizzati e distribuiti in edizioni analogiche inadeguate in cui si ritrovano «costretti», non in grado di attuare le potenzialità di sviluppo multidimensionale. Tra questi testi i primi a richiedere, oltre che sollecitare, una «reticolarizzazione» sono i manuali, purché siano stati concepiti in modo «sistematico». In questa prospettiva quasi tutti i manuali andrebbero riscritti, proprio come un tempo abbiamo fatto noi stessi quando venivamo chiamati, dalle grandi società di produzione hardware e software, a «convertire» i loro manuali – gerarchici – in manuali reticolari.
L’editoria elettronica ha perso la sua prima partita quando non è riuscita a offrire un reale valore aggiunto rispetto a quella di analogica, un valore che non consistesse semplicemente nella riduzione dello spazio e del peso dei libri, dello spreco di carta e del prezzo per l’utente finale. Abbattendo alcuni passaggi nella produzione e nella distribuzione, e perciò almeno potenzialmente anche il costo di produzione del libro stesso, l’Editoria Elettronica ha attirato l’attenzione dei lettori, che tuttavia, essendo diventati una minoranza, conservano spesso le abitudini del mondo analogico, compresa la preferenza per l’edizione analogica cartacea.
Il fatto che oggi si possano avere a disposizione molti più libri senza dover portare con sé una pesante valigia per contenerli, senza dover spendere un capitale per averli, senza neppure dover comprare un dispositivo apposito per leggerli, è stato senz’altro incoraggiante, ma non sufficiente per produrre il tanto atteso cambiamento epocale anche nel campo – quello letterario – che più di ogni altro contribuisce alla crescita culturale di un Paese. Anche la possibilità di utilizzare lo stesso Computer o telefono Smartphone per accedere alla propria Library elettronica online, e la possibilità di retroilluminare e ingrandire il testo per utenti che più spesso non sono giovani normovedenti, sicuramente hanno facilitato e sta facilitando questo cambiamento; ma per molti lettori, che magari possiedono già i libri in formato analogico, il passaggio non è stato reso abbastanza allettante da queste mere «utilità». Pochi ancora sono disposti a ricomperare i libri in formato elettronico per poter disporre di queste «facilitazioni».
Certamente le nuove generazioni soffrono meno questo problema, soprattutto se non hanno già in casa una «biblioteca» di libri, di cd audio, di film in dvd e blu-ray. I loro genitori probabilmente già da tempo non leggono più libri, e hanno anche smesso di comprare cd e dvd da quando si sono affermate le piattaforme. Loro, quindi, se mai vorranno ancora comprare libri li compreranno online.
Ma i problemi per l’editoria digitale letteraria non sono e purtroppo non saranno terminati almeno fino a quando non si risolverà il problema a monte della crisi della lettura o meglio del degrado culturale di cui la crisi della lettura è solo un epifenomeno. Mentre le librerie e le biblioteche fisiche languono disertate dai clienti e dagli utenti e mentre si domandano come convincere le persone a frequentarle di nuovo per non scomparire, mentre l’editoria digitale online non cresce, le persone già da tempo, senza che nessuno prendesse sul serio il problema hanno smesso di leggere. e le nuove generazioni praticano la scrittura e la lettura in quella forma limitata e per lo più orale/vocale costituita dalla messaggistica e dalla comunicazione attraverso i social che stanno diventando sempre più visivi per venire incontro al dilagante nuovo analfabetismo.
Al di là delle giustificazioni sociologiche che tano assomigliano alla favola della volpe e l’uva il rifiuto della lettura e della scrittura si spiega con una sconcertante e dilagante incapacità di comprendere – e più che mai elaborare – opere complesse come quelle che, proprio attraverso la letteratura – sono giunte fino a noi per educare con l’arte nuove generazioni di umanisti.
I ragazzi da tempo si rifugiano nelle serie o nei videogiochi che non richiedono la stessa preparazione necessaria per leggere un libro di Tolstoj. E il mercato mascherato da educatore è sempre pronto a giustificare e premiare questa «scelta», equiparando relativisticamente una barzelletta, una battuta, un messaggio ad un capolavoro letterario, e nascondendo il problema del degrado culturale dietro il dito della diversità culturale, della scelta contemporanea di tagliare i ponti con la tradizione umanistica per tentare le strade più facili. Le scorciatoie, dell’analfabetismo mascherato da nuovo linguaggio, delle incapacità come nuove capacità.
In questo contesto culturale l’editoria letteraria non ha ancora fatto e chissà per quanto tempo ancora non farà quel salto che le permetterebbe di creare nuovi capolavori o nuovi studi dei capolavori sfruttando appieno le possibilità offerte dalle tecnologie elettroniche.
Solo la musica sembra aver compreso almeno la necessità di adattarsi al mondo digitale per non esserne danneggiata, con buona pace dei tanti autori che hanno visto diminuire i loro guadagni ma hanno saputo riconvertirsi in performer da spettacoli dal vivo con cui hanno continuato a promuover la loro musica ormai fruibile quasi esclusivamente online sulle piattaforme.
Anche se gli autori e interpreti musicali più famosi possono permettersi ancora di stampare i cd e persino dischi in vinile, così come gli autori di bestseller ancora stampano libri e li firmano al loro pubblico, la maggior parte degli autori si deve rassegnare a pubblicare online i propri libri e dischi anche se la parola libro o disco non ha più senso, perché ci sono sempre meno oggetti da smerciare (o da mandare al macero).
Nella nuova era i soldi si fanno con il numero degli utenti, a meno che non si goda di quei finanziamenti istituzionali che ormai sono destinati solo ad assistere la casta dei mantenuti di diritto per doti intellettuali stabilite dal potere politico.
La maggior parte degli autori deve promuoversi attraverso i Social o affidarsi a un editore disposto, in cambio di una percentuale, a promuovere gli autori e a mettere in vetrina i loro testi, su una piattaforma, con la speranza che il pubblico premi il loro sforzo.
La musica è tutta sulle piattaforme, anche quella che da anni non si ristampava e non si trovava più su qualche supporto, finita nelle collezioni private di intenditori e collezionisti. Ora basta un abbonamento da 10 15 euro al mese per avere a disposizione quasi tutto.. Se poi si vuole un canale più specializzato ci sono anche piattaforme più specializzate che soddisfano quegli utenti che fanno una passione più precisa la soddisfare.
Ma per la letteratura non funziona ancora così; non solo non c’è l’unlimited, perché quello che Amazon ha creato è boicottato dagli stessi editori, che non mettono i propri libri di successo nell’Unlimited. Ancora l’Editoria letteraria punta sulla stampa dei libri o al più sulla vendita di ciascun titolo «on demand». L’editoria letteraria costringe ancora i clienti a dover scegliere tra la versione digitale e quella cartacea al momento dell’acquisto. E dal momento che quella digitale non offre vantaggi così significativi rispetto a quella cartacea, molti preferiscono ancora quella analogica, legata un’abitudine che neppure gli sconti non riescono a far perdere.
Il nostro interesse per l’editoria digitale è nato per le innumerevoli possibilità che abbiamo intravisto nei software, nell’hardware e nelle tecnologie della rete, tutti strumenti ampiamente sottoutilizzati a causa di quella miopia che ancora oggi cerca di ridurli a succedanei degli strumenti e dei prodotti dell’era analogica. Noi vedemmo nell’editoria digitale e nei contenuti finalmente sganciati dai supporti l’opportunità di creare reticoli di correlazioni dirette e indirette tra informazioni nuove e preesistenti, con cui avremmo finalmente potuto realizzare sistemi di studio complessi, che integrassero strumenti scientifici e prodotti artistici.
Quello che ci è apparso subito interessante – persino utilizzando i primi «tool» che avevamo a disposizione in anni in cui si poteva lavorare solo «offline» – era la possibilità di «correlare» tra loro testi scientifici preesistenti a tanti potenziali oggetti di studio, anch’essi preesistenti, attraverso studi originali che applicassero molteplici prospettive teoriche a medesimi oggetti di studio, e viceversa (una medesima prospettiva teorica a molteplici potenziali oggetti di studio). In pratica potevamo riunire in uno stesso Sistema Reticolare ciò che si è da sempre fatto – riduttivamente – in quei «temi scolastici» o in quei «saggi critici» in cui uno stesso principio teorico è presentato attraverso tante esemplificative applicazioni testuali, ovvero uno stesso testo è esaminato da diverse prospettive teoriche attraverso le argomentazioni di studiosi che invitano l’utente a rileggerlo per scoprire cose che da una sola prospettiva non riuscirebbe a cogliere.
Finalmente ci appariva possibile riunire «sistematicamente» l’«antologia» con il «manuale», e creare così una «terra di nessuno», dove studiosi che non avevano mai pensato ad applicazioni come quelle che noi volevamo fare, si trovavano costretti a dialogare virtualmente con autori che non avevano mai pensato che i loro racconti potessero divenire parte di un manuale per studiare come si creano opere ben fatte, come quelle da loro realizzate.
Attraverso i nostri prototipi mostrammo come scienziati e artisti potessero dialogare virtualmente attraverso i nostri Sistemi. E con i nostri studi multi-planari e multi-prospettici mostrammo finalmente al pubblico come si potesse condurre un’indagine da più prospettive e a più livelli su uno stesso oggetto. Partendo dai limiti di una ridicola edizione digitale di The Annotated Alice mostrammo come le limitate annotazioni elaborate da un logico al testo di Lewis Carroll contenessero implicitamente o esplicitamente correlazioni con altri testi di Carroll e con le teorie logiche presupposte.
La rigorizzazione, riorganizzazione ed espansione di quell’abortito esperimento di “edizione elettronica espansa” compiuta da un Editore troppo cauto e perciò destinato al fallimento, ci permetteva di mostrare come, sia dal punto di vista tecnologico che da quello metodologico, si potesse fare molto di più che creare un «oggetto annotato», elettronico ma equivalente all’edizione di Alice annotata esistente da anni in versione cartacea. Si poteva far dialogare tra loro tanti oggetti distinti e persino preesistenti, purché concepiti con un’architettura scientifica cioè articolati in parti correlate tra loro e potenzialmente correlabili alle parti di ciascun testo o metatesto introdotto nel Sistema di Studio. Prendendo ad esempio la stessa opera di Carroll, mostrammo come si potesse esplicitare e rappresentare la rete di connessioni che legava implicitamente e indirettamente il medesimo racconto di Carroll ad altri racconti dello stesso Carroll, a racconti di altri autori considerabili implicite variazioni di modelli archetipici condivisi con esso, alle riflessioni metodologiche di diversi studiosi, oltre che a studi compiuti sullo stesso testo, nonché a illustrazioni, riscritture e messe in scena. Il racconto di Carroll si prestava a un processo di reticolarizzazione perché ogni unità narrativa in cui era articolato racchiudeva più soluzioni, che la facevano funzionale e poteva essere indirettamente linkata, attraverso un studio che argomentasse la correlazione, alle teorie scientifiche utilizzate dallo stesso Carroll per elaborare le soluzioni impiegate per la scena, m anche ad ad altre scene dello stesso racconto o di altri racconti che funzionassero allo stesso modo. In questo modo mostravamo come ogni articolazione dello stesso racconto potesse diventare il nodo di una rete di correlazioni tra studi realizzati o da fare, teorie implicite da esplicitare, e altri oggetti di studio trattabili come varianti di modelli comuni tra loro strutturalmente imparentate. Così se il testo di Carroll poteva diventare un modo per ricavare strumenti di metodo più generali, per apprendere come funziona un racconto artistico (come elaborare soluzioni narrative e compositive e come anatomizzarlo da diverse prospettive) al contempo poteva essere considerato un oggetto complesso a cui applicare una quantità di strumenti di studio per cogliere con ognuno di essi un diverso aspetto o livello della sua architettura.
Il nostro progetto, anche se fattibile, presentava non pochi ostacoli. Si trattava di creare un Sistema di Studio, non un «Libro Espanso». Dovevamo cioè creare un reticolo di racconti potenziali oggetto di studio (di Carroll e di altri autori) implicitamente correlati tra loro; e per farlo occorreva elaborare tanti metatesti che esplicitassero le correlazioni implicite tra di essi, ciascuno in base a un diverso criterio (principio di funzionamento condiviso tra i testi) e ulteriori metatesti che definissero i principi fossero assunti dall’autore per creare le soluzioni, linkando manuali dove fossero trattate le teorie scientifiche presupposte. In questo modo un racconto come Alice poteva diventare il caso particolare per ricavare lezioni metodologiche generali di narrazione e composizione, per scoprire come la logica, la linguistica, la retorica facciano parte degli strumenti con cui un autore crea i suoi labirinti narrativi; e al contempo poteva essere l’oggetto ideale per esercitare le competenze acquisite e comprendere appieno il complesso progetto di Carroll.
Ma per creare un Sistema come questo occorreva creare delle joint venture tra editori, tra studiosi, tra artisti e scienziati, e bisognava superare il limite del singolo prodotto e del singolo supporto su cui memorizzare il Sistema stesso, o meglio occorreva distinguere tra il nostro lavoro e quello preesistente di chi aveva creato i correlati artistici e scientifici previsti virtualmente dal Sistema stesso, di cui nessun editore da solo poteva possedere i diritti d’uso.
Occorreva cioè sfruttare a pieno le potenzialità della rete per dare a ciascuno il suo – a Cesare quel che è di Cesare – cioè spiegare ad ogni Soggetto il vantaggio di poter godere di una promozione indiretta da parte degli altri correlati del medesimo Sistema, e convincerlo anche a pubblicare con il nostro eventuale aiuto un’edizione del proprio contenuto che fosse linkabile dall’esterno.
Allora questa collaborazione di diversi soggetti – che in fondo dovrebbe essere alla base dell’idea stessa di Rete – era considerata un’utopia irrealizzabile, soprattutto da coloro che, cimentandosi con l’Editoria Elettronica, volevano affermare l’idea, contraria alla nostra, del «pacco multimediale» che contenesse (incollasse al suo interno) tutti i contenuti offerti in un’unica edizione antologica (ovviamente per loro solo quelli esplicitamente correlati, come, ad esempio, per il «pacco» dedicato a Il Flauto magico di cui parliamo altrove).
A noi ciò che ci interessava era creare nuovi prodotti editoriali in forma di Sistemi di Studio e questo presupponeva la possibilità di sfruttare la Rete per creare correlati virtuali tra risorse disponibili online. Ma nondimeno noi volevamo dare agli autori la possibilità di creare opere che fossero concepite come un sistema fatto di tanti testi correlati tra loro attraverso una rete di domande e di risposte, proprio come abbiamo siamo riusciti a mostrare in tempi recenti realizzando sulla rete una nuova versione completamente online del Sistema dedicato all’opera di Jean De Brunhoff cioè alla Saga delle Storie di Babar l’elefantino.
Non a caso il primo prodotto che proponemmo allora ad un editore elettronico era proprio la prima edizione (offline) dell’opera di Jean de brunhoff, trattandola come come oggetto di un Sistema di Studio che permetteva di ricavare da e di applicare a l’opera stessa una quantità di competenze che potevano essere apprese solo con un apparato di studio interdisciplinare integrato nel Sistema stesso.
Dal momento che allora l’opera non era ancora di pubblico dominio, gli aventi diritto e gli Editori analogici interessati a sfruttare le edizioni cartacee temettero che quella elettronica avrebbe ridotto i loro guadagni, e così si rifiutarono di concedere i diritti per l’impresa. Noi subimmo anche lo smacco di vedere andare in fumo i supporti analogici e ottici su cui avevamo memorizzati il nostro progetto, le risorse e lo sviluppo del prototipo.
Oggi abbiamo recuperato il tempo perduto. Abbiamo ricostruito il Sistema Babar ripensandolo perché possa funzionare esclusivamente online avvalendosi appieno delle tecnologie elettroniche ipermediali, della rete internet e di una versione dell’opera di De Brunhoff – nel frattempo entrata nel pubblico dominio – che noi stessi abbiamo approntato perché possa essere fruita online come correlato del nostro Sistema.
Negli anni abbiamo utilizzato diversi software, o meglio adattato diversi software alle nostre esigenze, a cominciare da Hypercard e poi passando per Storyspace fino agli Editor HTML con cui oggi sviluppiamo i reticoli ipertestuali online.
Ma ciò di cui ci siamo accorti, che ci ha spinti a decidere di realizzare noi stessi un’applicazione che sfrutti diverse tecnologie e faciliti il lavoro di chi come noi vuole studiare e insegnare a studiare le più complesse architetture artistiche e anche avere uno strumento adatto a favorire ogni attività elaborativa, è che la mente umana, a partire da quella di un bambino, ha bisogno di molte più libertà di quanta ne diano gli strumenti tecnologici esistenti.
Per questa ragione noi abbiamo intenzione di creare un software che possa seguire l’attività di apprendimento, di studio, di ricerca, e di progettazione di un individuo dall’età infantile fino all’età adulta, ovvero lo supporti sia durante la sua educazione e formazione sia in ogni attività di studio e di progettazione che potrà svolgere da adulto per passione ed eventualmente anche per professione.
Il nostro software si basa sull’idea che ogni informazione che noi apprendiamo debba essere necessariamente correlata ad altre che già possediamo. Per questa ragione, a differenza di un semplice word processor, esso non consente di memorizzare e salvare singole informazioni, ma richiede all’utente di esplicitare e salvare anche le correlazioni che necessariamente ogni nuovo documento prodotto stabilisce con altri documenti già salvati, espandendo così il sistema di conoscenze e competenze implicite di cui dispone l’utente stesso. In altri termini per salvare un documento l’utente deve decidere a quali altri documenti della sua personale enciclopedia intende correlarlo e con quali criteri. Nel nostro software salvare un documento vuol dire salvare non solo il suo contenuto specifico ma anche i collegamenti tra quello e altri documenti in base ad espliciti criteri di correlazione.
Noi partiamo dall’assunto che ogni volta che un utente, anche molto giovane, fa una nuova scoperta e acquisisce nuove informazioni, o giunge a una nuova conclusione e vuole annotarla, possa essere stimolato a scrivere un testo, una nota, che andrà ad aggiungersi come «nodo» ad una «rete di testi» che vengono visualizzati come nodi di una «mappa». Cliccando su ciascun nodo questo si apre e si mostra il suo contenuto così come è stato scritto e impaginato all’atto della creazione, e l’utente può implementarlo aggiungendo testo e link.
Scrivendo un testo più o meno articolato l’utente deve domandarsi sia quali siano l’oggetto e gli oggetti correlati di cui si sta occupando, nonché quali siano i punti di vista assunti nel considerarli. In altri termini egli deve chiedersi con quanti altri documenti che ha già creato – ovvero con quanti altri concetti ha già nella sua mente – può/deve correlare quello che ha appena scritto, ripassando nella mente – o meglio attraverso un indice che il software gli mette a disposizione – tutti i documenti correlabili con cui per diverse ragioni può connettere il nuovo documento.
Quando si parla di un oggetto, definendolo e analizzandolo, non si può fare a meno di confrontarlo con altri, di spiegare cioè in che modo quell’oggetto sia un parente vicino o lontano di altri già conosciuti, per quale ragione quell’oggetto possa essere considerato appartenente alla medesima classe di altri oggetti già presi in esame o per quali ragioni esso deve essere assegnato ad una nuova classe, sia pure correlata per qualche ragione con altre già create.
Scrivere anche una breve nota con il nostro strumento vuol dire articolare un ragionamento che consenta di esplicitare con quali altri ragionamenti stiamo connettendolo e con quali altri oggetti stiamo confrontando l’oggetto del ragionamento stesso.
Il nuovo documento costringe a spiegare i criteri di correlazione, le ragioni che lo connettono ad altri che abbiamo già creato, in cui, tra l’altro, sono contenuti quei concetti che costituiscono i presupposti, gli strumenti con cui elaboriamo lo stesso documento.
Mentre pensa, ovvero scrive, l’autore del documento scopre che per definire l’oggetto preso in esame ha bisogno di altri oggetti; e per parlare di ciò che ha in mente ha bisogno sia di più punti di vista sia di più oggetti con cui possa confrontare l’oggetto che sta considerando per ciò che vi trova di simile e di diverso. Così scopre che ogni nuova cosa di cui parla e di cui si sta occupando non è altro che un parente stretto o lontano di altre cose; e l’unico modo per definirla è attraverso altre cose correlate ad essa.
Così, mentre crea un nodo della rete, crea anche i fili che lo connettono ad altri nodi della rete stessa. Questo gli permette anche di scoprire che il nodo che sta creando costituisce, insieme ad altri, il gruppo di nodi adatto per trattare da più prospettive un certo argomento più o meno astratto di cui vuole occuparsi.
In questo modo una raccolta di scritti di un nostro maestro può essere considerata come un unico iper-documento, in cui ognuno dei documenti che lo compongono può essere trattato come capitolo di un temporaneo libro virtuale che raccoglie alcuni scritti del maestro attraverso una serie di connessioni che esplicitano i legami che li rendono complementari, pezzi di un’unico manuale che l’autore adatti a trattare la stessa materia ad un diverso livello ovvero una materia più complessa o meno complessa da diverse prospettive.
Così, ad esempio, alcuni saggi del nostro maestro Alberto Cirese possono essere raggruppati in un’unica «silloge» riguardante «i proverbi di preferenza»; ma gli stessi possono essere uniti ad altri in una silloge più ampia riguardo «la logica dei proverbi», oppure in una silloge ancora più ampia riguardo i rapporti tra «proverbi e fiabe» e a un’altra ancora più ampia riguardo la «narrazione orale». Ma gli stessi testi di Cirese possono essere anche diversamente correlati – con altri ancora – in una silloge riguardante le «analisi strutturali» o una sui «modelli logici». In questo modo tanti appunti, saggi, scritti, interviste sparse di uno stesso autore possono essere letti sia separatamente sia come capitoli di un medesimo manuale, attraverso fili che li collegano a creare delle raccolte provvisorie secondo quel modello che ci ha mostrato Theodor Nelson nell’esporre la sua teoria di «edizioni virtuali» create correlando parti (capitoli o paragrafi) di opere secondo diversi criteri.
In questo processo di connessione di testi e metatesti acquista particolare rilievo ciò che noi chiamiamo «meta iper testo», ovvero quel testo che lo stesso autore, lo stesso studioso, lo stesso docente o discente può creare per spiegare le ragioni delle correlazioni tra i testi che compongono la silloge che lui stesso può comporre connettendo documenti da lui stesso creati o da lui presi in esame.
Con il nostro software sarà possibile creare sistemi di correlazioni tra oggetti di varia natura ma distinguendo tra le risorse esterne e preesistenti al sistema, create da studiosi e artisti, rispetto al sistema stesso.
Il Sistema non è altro che una serie di note, di appunti, di saggi, di riflessioni che uno studioso o uno studente può raccogliere per creare correlazioni indirette tra oggetti esterni al Sistema ma presi in esame dal Sistema stesso.
I nodi, cioè i metaipertesti prodotti dall’autore del Sistema, sono tutti correlati tra loro per cui ogni volta che se ne aggiunge uno si ripassano in rassegna tutti quelli preesistenti come possibili correlati. Il Sistema è fatto non solo di criteri di correlazione e correlati ma anche di risorse esterne.
Così l’autore del Sistema, mentre da un lato arricchisce la Library virtuale di Risorse esterne a cui può accedere (ad esempio quelle disponibili su YouTube accessibili a precisi fremi linkabili dall’esterno), da un altro aumenta il Sistema di correlazione fatto di correlati e di criteri di correlazione. E ogni volta che scopre una nuova teoria, un nuovo criterio, può passare al vaglio gli oggetti esterni di cui si è occupato e scrivere nuovi nodi che si vanno a correlare con quelli preesistenti permettendogli così di poter aggiungere nuove prospettive a quelle che ha già acquisito per guardare gli stessi oggetti e di poter esplorare nuovi oggetti con le prospettive che ha appena acquisito.
Ciò che c’era piaciuto in Storyspace era la possibilità di creare al contempo un documento e un nodo di una mappa. Di solito, invece, i software che permettono di creare documenti non permettono di creare mappe; e i software che permettono di di creare mappe concettuali non consentono di creare documenti, se non un titolo, e solo in rari casi consentono di aggiungere link esterni. Inoltre i software di mappatura concettuale nn sono salvo eccezioni, delle costruzioni implementabili online e non consentono link esterni a documenti di varia natura presenti in rete.
Noi invece vogliamo creare un software che mentre permette di creare il nodo online apre una finestra per articolare il nodo stesso; ovvero mentre noi creiamo un documento va ad aggiungere un nodo alla mappa e ci chiede a quali altri nodi vogliamo collegarlo, perché un nodo senza fili che lo connettono ad altri nodi non è un nodo.
In questo modo non avremo più un libro fatto di capitoli che possono essere letti solo uno dopo l’altro, ma avremo una mappa (non un indice) di nodi, per cui, partendo da ognuno di essi potremo sempre scoprire con quali altri nodi è correlato; e in questo modo, anche se nessun nodo è correlato a tutti direttamente, possiamo esplorarli tutti attraverso salti dall’uno all’altro per scoprire le connessioni indirette, i gradi di separazione da ognuno permettono di raggiungere tutti gli altri.
Il software che vogliamo creare ha dunque due interfacce: possiamo partire da una mappa a cui possiamo aggiungere un nodo; ma appena lo aggiungiamo si apre una pagina che ci chiede come vogliamo riempirlo e in questa pagina, nel momento in cui noi indichiamo nel meta ipertesto quali sono i correlati con cui nella nostra argomentazione colleghiamo l’oggetto di studio, dobbiamo indicare i correlati e i criteri di correlazione che nell’argomentazione abbiamo fatto emergere.
Grazie ad un automatismo, i correlati e i criteri di correlazione creati elaborando l’iper-meta-testo appaiono in due indici nello stesso iper-documento; e per crearli possiamo attingere ad altri due indici distinti: uno di tutti i correlabili del Sistema, e un altro di tutti i documenti già correlati nel Sistema stesso, ai quali potremmo sempre aggiungere nuovi correlati e nuovi criteri di correlazione.
Quando chiudiamo e salviamo il documento è il documento stesso a chiederci con cosa vogliamo correlarlo e come vogliamo correlarlo. E se un volta salvato alla riapertura appariranno nel documento appariranno i correlati e criteri di correlazione come pulsanti, nella la mappa invece verranno rappresentati come nodi come fili che connettono i nodi. I nodi ovviamente possono già esistere così come i fili-criteri di correlazione che già legano nodi preesistenti.
In questo modo se un ragazzo fin da giovane comincia a crearsi una mappa, che in qualche modo rappresenta lo stato della sua mente, tutti i propri insegnanti e educatori avranno sempre la possibilità di conoscere ciò che il ragazzo ha già conosciuto e quanto ne ha compreso e di conseguenza cosa non conosce ancora e cosa non possiede per conoscere meglio ciò che crede di conoscere; di conseguenza potranno suggerirgli nuove esplorazioni e investigazioni e insegnargli come affinare i propri strumenti di indagine e esplorazione. Inoltre lui stesso, crescendo, si renderà conto di tutto ciò che ha capito e di tutto ciò che ancora non possiede per poter spingersi più oltre nelle proprie esplorazioni e investigazioni.
Un altro aspetto interessante è che potenzialmente ciascuno potrà correlare la propria mappa a quella di altri; e unendola potrà esponenzialmente accrescere le proprie conoscenze e competenze.
Se riusciremo a realizzare questo software otterremo sia uno strumento educativo e formativo sia uno strumento analitico e progettuale; ovvero avremo uno strumento di supporto sia alle attività educative che a quelle attività formative ma anche a quelle di professionisti che da autori e da studiosi vorrebbero disporre dello strumento ideale per condurre le proprie indagini e sviluppare i propri progetti narrativi.
Per esemplificare ciò che abbiamo in mente cercheremo di realizzare in questo modo il nostro Magazine, da un lato rappresentando la mappa degli editoriali e dei contributi che via via realizzeremo, da un altro mostrando come, nello scrivere ogni editoriale, saremo spinti a scriverne altri, perché ogni editoriale stimola e genera dal suo interno nuovi editoriali che ne costituiscono i presupposti o gli sviluppi; e con essi crea delle relazioni che visualizzeremo nella mappa, attraverso dei fili che rappresentano i criteri di correlazione tra gli editoriali.
Ma se questo lo realizzeremo empiricamente, speriamo che nel frattempo, grazie all’aiuto di quanti abbiano finalmente compreso il nostro progetto, potremo realizzare un software che ci aiuterà in questa attività automatizzando quello che fino ad ora abbiamo elaborato sul piano metodologico e rappresentato inadeguatamente sul piano tecnologico.
Un grosso ostacolo che frena da anni gli aiuti che il nostro progetto richiede sta nella paura da parte degli autori e degli editori di perdere la propria identità, ovvero di scoprire e far scoprire quanto c’è di nostro e quanto c’è di altrui in ciò che che pensiamo e che scriviamo, perché il nostro strumento costringe chi scrive ad esplicitare le correlazioni con i propri maestri allievi colleghi, e a mostrare e distinguere quanto abbiamo elaborato noi e quanto hanno elaborato altri.
Tuttavia, pur capendo questa apprensione che colpisce soprattutto quelli che devono la loro fortuna ad abili copia e incolla di pensieri pensati da altri, vogliamo rassicurare i veri studiosi e i veri autori, i veri docenti e i veri discenti ricordando anche qui quello che ci hanno insegnato alcuni dei nostri maestri sia di provenienza scientifica (Laborit) sia di provenienza artistica (Truffaut). “Noi siamo gli altri” è esattamente ciò che noi vogliamo insegnare ad accettare e coltivare attraverso un uso corretto dello strumento di studio e di progettazione.
Se il nostro Software ci costringe a esplicitare di chi sono le opere che assumiamo ad oggetto e a presupposto dei nostri studi o dei nostri progetti narrativi, questo ci consente anche di valorizzare ciò che «noi» facciamo, mostrando ciò che noi abbiamo elaborato rispetto a ciò di cui noi parliamo o a ciò che noi utilizziamo per parlarne. L’originalità dei nostri meta-iper-testi sta nel fatto che noi riusciamo – come non ha mai fatto nessuno prima di noi – a mostrare, esplicitare, e argomentare correlazioni implicite tra oggetti non immediatamente correlabili e a spiegare In che modo una teoria logica psicologica preesistente si adatti e si applichi ad un oggetto come una scena di un racconto di Shakespeare. E quello che noi faremo utilizzando il nostro Software vi insegneremo a farlo attraverso la nostra Scuola e le nostre Botteghe.
Allo stesso modo, nel creare una sceneggiatura o un romanzo noi possiamo esplicitare in che modo quella scena si correla ad altre scene di altri romanzi che costituiscono varianti di un medesimo modello logico, e quindi in che modo il nostro racconto crea una nuova variante significativa e interessante di un modello logico condiviso con altri racconti. Il problema è che la maggior parte degli studiosi e degli autori copia e imita anche senza volerlo, ma più spesso sapendolo e non esplicitandolo. In questo sono aiutati dal pubblico che per lo più legge senza riconoscere che ciò che sta leggendo lo ha già letto, così come apprezza proprio il fatto di ritrovare le cose che già sa e che ha già letto e che lo rassicurano o addirittura gli fanno credere di essere in qualche modo complice dell’autore del racconto.
Un software come quello che vogliamo creare, raccogliendo la lezione metodologica di Theodor Nelson, consente di riconoscere ad ognuno la sua parte. Nessuno si appropria del lavoro degli altri e nessuno è derubato del suo. L’autore di un racconto scopre di essere autore di alcune soluzioni e di averne prese in prestito altre, così come l’autore di uno studio scopre di aver assunto delle teorie per poter applicarle ad un oggetto di cui altri si sono già occupati ma da altre prospettive; e così può anche scoprire che se qualcun altro si è già occupato dello stesso oggetto da una prospettiva che lui vorrebbe assumere dovrà trovarne una nuova, o altrimenti finirà per imitare, copiare implicitamente o esplicitamente quello che hanno già fatto altri.
Può essere interessante e innovativo scoprire nuovi oggetti a cui applicare le stesse teorie o offrire un nuovo punto di vista con cui guardare uno oggetto già studiato da altri, o creare una nuova variante di un medesimo modello narrativo
E tutto questo permetterà di comprendere e far comprendere che non si inventa mai nulla dal nulla così come non si scopre mai nulla dal nulla.