I Presupposti teorici

La nostra attività mira a identificare e ad esplicitare, in capolavori artistici della nostra tradizione umanistica, quei principi scientifici di carattere generale che solo i grandi autori sanno utilizzare al meglio, controllando ogni aspetto, ideativo e realizzativo, dei loro progetti narrativi.

Con la nostra attività cerchiamo di insegnare agli utenti a riconoscere quei principi e ad apprenderne le possibilità applicative, proprio dagli autori che hanno saputo sfruttarle meglio, anche per utilizzarli nella costruzione di nuovi testi artistici.

Per svolgere questa attività dobbiamo avere bene in mente di quali principi teorici ricerchiamo applicazioni nei testi che prendiamo in esame. E dobbiamo essere in grado di esplicitarli attraverso «metadiscorsi» – lezioni e studi – che permettano ai nostri allievi non solo di comprendere ciò che di un capolavoro artistico emerge assumendo di volta in volta come prospettiva analitica un diverso principio, ma anche di imparare un metodo di studio sia in senso analitico che progettuale.

Per questo la nostra attività è insieme scientifica – per quanto riguarda il metodo analitico – e artistica – sia per quanto riguarda gli oggetti che prendiamo in esame sia per il modo in cui noi stessi narriamo delle correlazioni interne ed esterne ad essi in base ai principi di funzionamento condivisi -, ma è anche didattica, perché mira a far apprendere ai nostri utenti le straordinarie competenze degli autori racchiuse nei loro stessi testi.

La nostra attività richiede, per svolgerla, competenze normalmente frantumate in discipline che non dialogano tra loro, a partire da quelle cosiddette umanistiche, separate, nei corsi di studi scolastici e universitari, da quelle scientifiche pure.

D’altro canto la nostra attività consente agli utenti di apprendere simultaneamente diverse competenze scientifiche, di scoprire relazioni tra di esse e di sperimentarne le possibilità applicative in ambiti artistici, per analizzare testi e per crearne di nuovi.

I nostri maestri sono coloro che ci hanno insegnato a riconoscere e applicare quei principi teorici e metodologici che loro stessi hanno scoperto e definito.

Tra questi ci sono sia scienziati puri sia artisti-studiosi che studiosi-artisti, in particolare coloro che si sono resi conto che per compiere studi attendibili dovevano «rigorizzare» gli strumenti metodologici in loro possesso, e quindi domandarsi, preliminarmente, con cosa studiavano quel che studiavano.

I presupposti teorici del nostro lavoro sono infatti le riflessioni «metateoriche» e «metalinguistiche» di quegli studiosi che hanno riflettuto sul metodo di studio analitico e progettuale. Non per caso ci chiamiamo Istituto Metacultura.

La nostra attività fa interagire in modo esplicito teorie e potenziali oggetti di studio attraverso una pluralità di studi-lezioni costruiti appositamente dai nostri studiosi e docenti per consentire ai nostri allievi di indagare un medesimo testo artistico da una molteplicità di prospettive, ma anche di applicare ogni prospettiva di studio a una pluralità di testi, tutti quelli correlabili in base al medesimo principio narrativo condiviso.

Per ottenere questo risultato abbiamo dovuto ricercare e identificare, negli anni, principi logici sparsi tra tante teorie scientifiche e raramente utilizzati per comprendere il funzionamento dei testi artistici.

Sembra incredibile che nell’ambito degli studi sulla composizione e sul funzionamento dei testi narrativi, e in particolare di quelli artistici, non si trovino ad oggi metatesti – studi e lezioni – che in modo sistematico, scena per scena, ricerchino e spieghino le soluzioni autoriali in esse racchiuse; e che anche nei casi in cui, almeno parzialmente o esemplificativamente, prendano in esame estratti di testi, colleghino lo studio del piano dell’espressione (la composizione) a quello della narrazione. 

È paradossale a nostro avviso che anche i teorici della narrazione non siamo riusciti a mostrare uno studio completo di un testo artistico in base ai principi da loro stessi definiti. 

Forse perché i principi che ciascun teorico è riuscito a individuare non sono applicabili ad altro che a piccole parti e ad alcuni livelli di un testo artistico, o forse perché i testi sono usati come «pretesti» per «dimostrare» (in senso comunicativo-pubblicitario piuttosto che scientifico) pregiudizi, convinzioni ideologiche spacciate per teorie scientifiche. 

Proviamo un certo imbarazzo – come umanisti – nel constatare quanti errori siano stati compiuti nel tentare di individuare principi generali di funzionamento dei testi artistici applicando male teorie delle scienze cosiddette esatte, o come si sia scavato ancora così poco da quando furono identificati «tipi» e «motivi» per classificare il patrimonio narrativo di favole e leggende delle tradizioni cultuali della nostra civiltà. 

Abbiamo visto illustri studiosi arrendersi e compiere vere e proprie abiure nei confronti del metodo scientifico per rifugiarsi nel più rassicurante metodo storico o in quella chiacchiera sociologica tanto superficiale quanto ovvia che mette d’accordo tutti. 

Ci sembra incredibile che per cancellare grossolani errori applicativi di teorie scientifiche in campo artistico si sia buttato via il bambino con l’acqua sporca, rifiutando in blocco le analisi formal-strutturali insieme alle riduttive derive ideologiche strutturalistiche.

Abbiamo visto la semiologia finire per diventare la scienza della lettura dei fondi di caffè, la giustificazione teorica di quel simbolismo dietrologico tanto temuto da Eco quanto da lui stesso alla fine accettato attraverso i suoi epigoni. 

Abbiamo visto fallire gli esperimenti di tutti coloro che dall’esterno non comprendevano la narrazione, perché non la praticavano, e finivano per avvicinarsi ad essa per assumere malamente i panni di presuntuosi narratori dilettanti. 

Ci siamo meravigliati vedendo assurgere a «guru della narrazione» dei modesti raccoglitori e classificatori di casi eclatanti, che sono riusciti a spacciare cliché per regole strutturali, e a formulare ricette a buon mercato estraendole empiricamente dai successi stagionali di film e serie televisive di nessuna qualità ma divenuti fenomeni «di culto» grazie alla cultura di massa.

Meglio i tentativi compiuti da autori-studiosi per classificare e spiegare la loro stessa grandiosa opera e quella dei loro maestri. Dai loro esempi illuminanti possiamo trarre ispirazione e indicazioni circa le strade più promettenti da seguire, come mostrano le “Lezioni americane” e tutta la saggistica di Italo Calvino.

Ma nonostante le interessanti eccezioni costituire da alcuni studi esemplari di meta-letteratura (da Poe a Stevenson a Calvino a Queneau a Eco …), quello che a nostro avviso ha penalizzato e continua a penalizzare gli studi umanistici è stata l’incapacità degli studiosi di assumere una prospettiva più generale per ricercare gli strumenti più adatti con cui prendere in esame gli oggetti di studio, piuttosto che tentare di elaborare diverse pseudo-teorie specifiche per ciascuna materia di studio. L’impreparazione scientifica e umanistica degli «umanisti contemporanei» li ha resi inermi e ridicoli nello sforzo di spiegare il cinema con il cinema, la letteratura con la letteratura, il teatro con il teatro, il teatro musicale con il teatro musicale.

Di fronte alla decadenza degli studi umanistici, al momento ridotti a studi di “genere” e a demenziali dibattiti sul “politicamente corretto” e la “cancel culture” a volte ci sentiamo scoraggiati ma più spesso ci sentiamo spinti a imprimere una svolta, ridefinendo le competenze e gli obiettivi della nostra attività, sostenuti dagli ideali umanistici che condividiamo con coloro che sono stati e continuano ad essere, anche da morti, i nostri maestri.

Ciò che ha facilitato il compito che ci siamo dati di fronte a tale disarmante vuoto teorico e speculativo è stata la fortunata coincidenza che gran parte di noi, fin dai primi soci fondatori, non era legata a un solo campo di studi, aveva una preparazione scientifica, una conoscenza degli oggetti artistici, e persino un’utile competenza tecnologica, tutte abilità acquisite attraverso studi inter-disciplinari che oggi, secondo gli attuali piani di studio, si direbbero diremmo non regolari.

Mentre negli ambienti accademici si condanna e si scoraggia ogni tentativo di studio metodologico e di elaborazione teorica – a parte la teoria per la quale bisognerebbe abbandonare le ambizioni scientifiche, ormai assimilate alle religioni, e assumere prospettive storiche o sociologiche per trattare gli oggetti con quell’ambiguità debole, liquida e relativista per cui ogni spiegazione è valida a casa propria – noi non abbiamo abbandonato, anzi abbiamo recuperato dall’acqua sporca quel bambino costituito dalle ricerche in ambito umanistico condotte da scienziati che si domandavano, come noi, se ciò che qualifica gli studi umanistici siano solo gli oggetti di studio o anche i metodi, e se per trattare oggetti di studio tanto differenti non si debba possedere una strumentazione scientifica adeguata, tanto generale da spiegare le differenze anziché adattarsi ad esse generando innumerevoli spiegazioni empiriche ad hoc.

Noi non abbiamo abbandonato, ma anzi abbiamo continuato le ricerche di scienziati umanisti come Roman Jakobson, Claude Bremond, Juri Lotman, Claude Levi-Strauss, Alberto Cirese, che si chiedevano se i fenomeni culturali – narrativi, linguistici, mitologici, parentologici – si dovessero trattare assumendo il punto di vista relativo di chi ne è il portatore o se invece fosse indispensabile assumere un punto di vista più alto adottando una strumentazione scientifica proveniente dalle scienze esatte, per costruire modelli logici in grado di esplicitare leggi del comportamento umano e spiegare le differenti costruzioni culturali a partire da strutture logiche comuni. Tuttavia abbiamo aggiunto ai loro insegnamenti quelli di alcuni grandi autori che, riflettendo sulla loro attività, esplicitandone alcune regole e strategie, ci hanno invitato direttamente o indirettamente a esplorare e indagare i principi da loro assunti nell’elaborare soluzioni, quei principi condivisi tra autori e tra capolavori con cui i grandi autori creano reti intra e inter testuali di connessioni logiche, non immediatamente percepibili, che sostengono l’architetture dei loro capolavori. 

Partendo da queste incoraggianti premesse abbiamo sperimentato per anni soluzioni metodologiche e tecnologiche costruendo sistemi ipermediali che potessero rappresentare, esplicitandoli, i labirinti testuali, i sistemi di domande e risposte creati dagli autori per far funzionare i loro capolavori come perfetti sistemi in cui, a differenza della vita, la casualità è a tal punto ridotta da trasformarsi in causalità e sistematicità.  

E dal momento che, proprio muovendoci al di fuori dei confini disciplinari e dei settori accademici abbiamo potuto ottenere risultati che hanno suscitato l’ammirazione dei nostri maestri, prima che ci lasciassero, (le attestazioni di stima di Cirese, Laborit, Lotman, Prieto, contano per noi più di qualunque riconoscimento accademico) ci siamo convinti di aver imboccato la strada giusta. 

Dai primi prototipi ipermediali con cui abbiamo dato forma reticolare ai nostri studi reticolari di opere di grandi narratori abbiamo realizzato sia modelli logici e tecnologici sempre più raffinati per rappresentare la complessità degli oggetti di studio di cui continuiamo ad occuparci, sia Sistemi di Studio Reticolare, dedicati a opere dei maestri della narrazione, che fanno già parte delle Offerte che trovate nel nostro nuovo Portale. Ognuno dei nostri Sistemi nasce dal desiderio di far conoscere e supportare lo studio dell’opera degli autori che più stimolano la nostra attività con le loro perfette architetture narrative. 

Per tutte queste ragioni dovrebbe apparirvi evidente che se volte essere nostri collaboratori, per inserirvi nel nostro gruppo e partecipare al nostro lavoro, operando adeguatamente sui tesori narrativi di cui ci occupiamo, dovete acquisire preliminarmente molte competenze di diversa natura. 

Una materia tanto vasta e complessa come quella di cui ci occupiamo – la narrazione artistica in ogni forma espressiva – richiede, per poter essere trattata, un bagaglio di strumenti ricco e raffinato, adeguato alla ricchezza e raffinatezza di ciascuno degli oggetti che prendiamo in esame.

Per questo noi formiamo i nostri potenziali collaboratori facendoli partecipare alla nostra attività di Bottega, prendendoci cura personalmente e individualmente della loro preparazione. Una preparazione di cui ci occupiamo insieme ai nostri maestri in vesti di tutor virtuali.

Per prepararci alle imprese da cui scaturiscono i nostri servizi e prodotti, e per preparare i nostri allievi è fondamentale per noi poter padroneggiare i presupposti teorici che i nostri maestri ci hanno lasciato. E siccome noi non nascondiamo ma dichiariamo con vanto i nomi dei nostri maestri, vogliamo sempre ricordarli a chi ci legge e ci studia e ogni volta che possiamo linkare la loro opera:

Alberto Mario Cirese, per la sua concezione reticolare di manuale di studi poliprospettico, per la sua visione interdisciplinare degli studi umanistici, per il suo sforzo di rigorizzazione degli strumenti di studio delle scienze umane, per il suo contributo nell’applicare alle scienze umane gli strumenti delle scienze logiche, per la sua idea di considerare come parte fondante della ricerca lo studio dei presupposti teorici e la ridefinizione degli strumenti di studio, per la sua continua ricerca metodologica, per la sua attenzione alla logica negli oggetti di studio oltre che degli strumenti di studio, per la sua attenzione allo studio metateorico e metalinguistico come necessità metodologica della ricerca scientifica, per la sua ricerca delle invarianti che soggiacciono alle variazioni culturali, per la sua distinzione tra la funzione segnica e quella fabrile, per la sua ridefinizione dei bisogni primi e secondi.

Henri Laborit, per la sua distinzione tra i tipi di memoria e per la sua attenzione alla memoria elaborativa come tratto distintivo umano, per la sua concezione dell’educazione anti specialistica ma polidisciplinare, per il suo sforzo di correlare gli studi bio- logici a quelli psico- logici e socio- logici ovvero di studiare i rapporti tra il micro e il macro nelle strutture naturali e sociali, per lo studio dell’informazione non solo semiotica a tutti i livelli, per la sua concezione di sistema neghentropico, per il suo studio analitico dei livelli di organizzazione degli organismi, per il suo esempio di laboratorio di ricerca interdisciplinare, per la sua battaglia contro il riduzionismo scientifico, per l’attenzione agli automatismi nel comportamento umano, per la sua concezione di didattica «a fisarmonica» insieme globalizzante e focalizzante.

Charles Darwin, per l’avvio degli studi sulle «espressioni» come invarianti nel comportamento umano, e la sua implicita distinzione tra espressione e comunicazione.

Juri Lotman, per il suo studio teorico della «lingua artistica» intesa come sistema di simulazione secondario costruito sui linguaggi comuni, per la sua attenzione alla struttura multiplanare dei testi artistici e alla necessità di questi ultimi di semantizzare la forma espressiva, per la ridefinizione del rapporto tra opera artistica e lettore, per lo studio dell’ambiguità, della polisemia e dell’adeguatezza delle forme nei testi artistici, per la sua concezione enciclopedica dell’opera d’arte, per lo studio del rapporto tra automatismo e informazione, per l’identificazione del valore informativo dei testi artistici nella molteplicità delle correlazioni che ogni elemento stabilisce, e del mutamento di valore informativo nel cambiamento di posizione strutturale degli elementi stessi.

Theodor Nelson, per la sua concezione di editoria diffusa online non gerarchica ma reticolare non chiusa ma implementabile, che separa i dati correlati dai criteri di correlazione e postula una rete di metaipertesti che contengano solo indirizzi di oggetti di studio esterni e criteri di correlazione tra i metaipertesti stessi.

Richard Wagner, per la sua concezione di opera globale che attraverso il teatro musicale porta alla luce il problema fondamentale della costruzione di racconti multiespressivi e delle capacità multi-disciplinari per elaborarli e realizzarli.

Roberto Rossellini, per la sua idea di realizzare una polienciclopedia dei saperi umanistici che comprenda diversi livelli enciclopedici e consenta di esaminare gli stessi oggetti da prospettive diverse, per la sua idea di connettere virtualmente tra loro le Botteghe umanistiche di ogni tempo e luogo allo scopo di ridare, alle nuove generazioni, la possibilità di apprendere dai veri grandi maestri depositari di insegnamenti ormai perduti.

Alfred Hitchcock e François Truffaut, per la loro idea e la loro esemplificazione di come realizzare un manuale implementabile e reticolare su una materia in cui prima di loro non si credeva possibile identificare e definire meccanismi costanti al variare degli oggetti di studio.

Italo Calvino, per la sua concezione di autore-studioso e la sua capacità di creare racconti filosofici, di parlare di scienza attraverso l’arte usando la narrazione artistica per avvicinare i lettori allo studio scientifico della materia artistica.

Stefan Zweig, per aver anatomizzato le ragioni del degrado di cui soffre la nostra Civiltà e i valoro della tradizione umanistica da recuperare.

Orson Welles, per aver mostrato come realizzare e progettare il racconto filosofico nel cinema

Ernst Lubitsch, per aver mostrato come l’«arte della variazione» non sia solo un fenomeno musicale ma il modo con cui si parlano gli artisti tra loro.

Walt Disney, per averci mostrato come la costruzione di tanti capolavori non sia limitata ma anzi resa possibile dal padroneggiare e rispettare un numero delimitato di regole del gioco.

James Barrie, per averci mostrato le differenze e le relazioni tra la scrittura letteraria e quella drammaturgica e per aver esemplificato come e cosa occorre fare per trasformare un testo letterario in un testo drammaturgico.

Lewis Carroll, per averci stimolato a creare il primo labirinto narrativo e il primo reticolo di studio del labirinto stesso.

Jean De Brunhoff, per averci mostrato la scrittura poliespressiva all’opera nella narrazione per l’infanzia.

Jean Pierre Ponnelle, per averci mostrato come superare i confini tra teatro e cinema e costruire una vera regia multiespressiva.