Per i Narratori

Per i Narratori

Chi sono i Destinatari  •  In cosa consiste l’Offerta  •  Programma

Per anni abbiamo desiderato avviare un servizio specifico rivolto ai Narratori, cioè a coloro che per professione già si occupano o intendono occuparsi di narrazione artistica con una o più forme espressive e mediali.

A questo scopo diversi anni fa elaborammo il progetto di una Scuola che insegnasse a padroneggiare tanto «le forme narrative invarianti» quanto «le variazioni nelle forme espressive», e a trattare queste ultime sia autonomamente, in racconti «monoespressivi», sia nella loro integrazione, in racconti «poliespressivi». Ma i troppi impegni e l’inaffidabilità dei partner, come al solito poco interessati al vero non-profit, ci hanno indotto a rimandare questo nuovo impegno e a valutare attentamente il momento più adatto in cui avremmo potuto impegnare buona parte delle nostre forze e risorse per realizzarlo come un nostro nuovo servizio online.

Mentre lavoravamo al nuovo Portale ci siamo finalmente decisi ad attuare il nostro progetto sotto forma di “Alta Scuola di Perfezionamento in Narrazione Artistica Poliespressiva“.

Se dunque avete interessi professionali, oltre che una grande passione per la narrazione artistica in ogni sua forma, allora potete sottoporci la vostra candidatura per iscrivervi alla Scuola e, di conseguenza, ottenere l’accesso ai nostri corsi più avanzati e ai nostri più complessi «Sistemi di Studio Reticolare», pensati appositamente “per i Narratori”.

Come forse già sapete, il nostro Istituto è nato con lo scopo di studiare le forme e i meccanismi generali della «composizione», assumendo una prospettiva «inter-disciplinare» rispetto ai campi in cui essa viene solitamente studiata e praticata sia in modo esplicito (la composizione musicale) sia in modo implicito (la composizione visiva, letteraria, drammaturgica, poliespressiva).

Allo stesso modo noi studiamo le forme e i meccanismi generali della «narrazione», assumendo una prospettiva «inter-disciplinare» rispetto ai campi in cui essa viene solitamente studiata e praticata, e trattando la comune materia archetipica delle favole e dei proverbi, delle leggende e dei miti.

Nella nostra ricerca, e nelle nostre attività, la «composizione» e la «narrazione» sono considerate come due facce della stessa medaglia, che in quanto tali meritano studi su piani distinti ma anche uno studio sistematico delle loro interrelazioni, affinché la ricerca di forme e soluzioni su un piano corrisponda alla ricerca di adeguate forme e soluzioni sull’altro.

Noi insegniamo come imparare a riconoscere e a controllare «le forme» della composizione e della narrazione. Mostriamo e spieghiamo come ricavarle da capolavori della tradizione umanistica in cui entrambe sono sviluppate e utilizzate al meglio, come studiarle nella loro reciproca interrelazione, e come utilizzarle nella costruzione – multimediale, multiplanare e multiprospettica – dei «Sistemi di Studio Reticolare» più complessi; quelli in cui facciamo interagire tra loro «teorie», «studi», e «oggetti di studio» – solitamente separati e irrelati – e con i quali insegniamo ai nostri allievi, diretti e indiretti, ad apprezzare i capolavori artistici dei maestri e ad apprendere la lezione metodologica racchiusa in essi.

Per comprendere la novità di questo approccio metodologico pensate a come vengono trattate «le scienze» nella scuola fin da quella di base, dove si insegnano come «materie» e non come «strumenti di studio e progettazione» per analizzare fenomeni complessi e costruire oggetti meravigliosi come i «racconti artistici».

Noi insegniamo le «forme della composizione e della narrazione» non come argomenti a se stanti, ma come meccanismi che possono essere identificati e appresi in oggetti straordinari quali i capolavori della narrazione artistica, dove concorrono al funzionamento del racconto e alla costruzione della sua perfetta architettura.

Imparando a riconoscere, a prevedere e a utilizzare quei meccanismi, necessari per comprendere e apprezzare il funzionamento di oggetti estremamente complessi come i capolavori della narrazione artistica, i nostri allievi e apprendisti imparano, nella nostra Scuola, a padroneggiarli sia nello studio analitico che in quello progettuale dei racconti in forma artistica; in questo modo diventano esperti nel riconoscere e nell’elaborare forme espressive adeguate alle soluzioni narrative studiate per narrarli. In altri termini, da noi la composizione si apprende studiando la narrazione … e viceversa.

Uno dei primi motivi che ci hanno spinto a considerare l’apertura di una Scuola Professionale di Narrazione Artistica, e di inserirla tra gli Ambienti di Studio del nostro nuovo Portale, è stata proprio l’assenza di Scuole di Alta Formazione che trattino «la narrazione come questione metodologica interdisciplinare invariante al variare delle forme espressive e mediali»: non la «narrazione cinematografica» o «letteraria» o «teatrale», ma la narrazione in quanto tale, cioè quel piano progettuale in cui si possono studiare, con relativa autonomia, le «soluzioni narrative», senza le quali non si può andare a ricercare, su un altro piano progettuale, le «soluzioni espressive» più adeguate, e poi farle confluire in un romanzo illustrato o in una sceneggiatura, in una pièce teatrale o in un libretto e una partitura.

Mentre avvertivamo la mancanza di Scuole che insegnassero a progettare con ogni forma espressiva e per ogni tipo di medium, al contempo non potevamo non notare come le Scuole che si occupavano esclusivamente di una sola forma di scrittura (Scuole di scrittura letteraria, di sceneggiatura e di regia, di drammaturgia, di composizione) finissero per ignorare tanto le «regole» quanto le «strategie» più raffinate della narrazione elaborate da autori che non avevano operato nel campo di interesse di quelle Scuole.

Quelle Scuole che propongono forme di specializzazione persino legate ai diversi mestieri del campo professionale di cui si occupano, considerano la narrazione da un punto di vista troppo angusto e settoriale, troppo legato a una forma espressiva e addirittura ad un medium di destinazione (la sceneggiatura cinematografica oppure televisiva; la scrittura letteraria oppure drammaturgica); perciò non sono in grado né di identificare né di insegnare quelle regole più generali che travalicano il particolare mezzo espressivo e mediale da loro considerato; e di conseguenza non preparano i loro allievi a trattare il progetto narrativo come fase preliminare e condizione fondamentale per qualunque tipo di racconto e in qualunque forma espressiva lo si voglia realizzare. Eppure dovrebbero sapere che le soluzioni narrative che un bravo sceneggiatore elabora per un film o per una serie televisiva sono le stesse che un bravo scrittore elabora per il suo romanzo scegliendo una o più forme espressive per rappresentarle.

Ma evidentemente questo sfugge a chi considera solo le specificità del proprio campo di studi e non ha una visione più generale della materia e delle forme con cui opera la narrazione artistica.

Fin dalla Scuola di base le favole e i proverbi, le leggende e i miti delle tradizioni popolari sono ampiamente sottovalutati come «materia» di studio (nonostante siano la «materia narrativa» indispensabile di ogni narrazione artistica), mentre le «forme» da studiare per trattare i testi (e per creare narrazioni artistiche) vengono circoscritte a quelle espressive letterarie, della retorica, della sintassi, della metrica, con qualche accenno alle “funzioni” di Propp e alle zoppicanti teorie sulla narrazione che si sono maldestramente e impropriamente tratte da esse e si sono poi mal applicate a ogni racconto, generalizzando le considerazioni empiriche del grande studioso russo relative a un gruppo di «fiabe di magia» del catalogo Aarne Thompson. Lo stesso Propp aveva avvertito il pericolo che si sarebbe corso qualora, senza ulteriori sviluppi delle sue ricerche, e senza alcun rigore logico, si fosse applicato il suo modello indiscriminatamente a qualunque racconto. Ma non sapeva che la cultura di massa avrebbe rapidamente cancellato sia lo studio della «materia» ideale di qualunque narrazione, sia quello delle «forme» narrative che lui aveva appena cominciato a identificare.   

In una società dove ogni campo del sapere ha eretto barriere che lo separano dagli altri, e dove i fruitori sono classificati in base ai condizionamenti e agli automatismi che hanno adottato abboccando alle offerte merceologiche e divenendone dipendenti, si considerano ovvi e accettabili quei presupposti impliciti che impediscono di apprendere cosa sia la «narrazione artistica» e di imparare a praticarla.

Consideriamone alcuni per capire meglio le ragioni che ci hanno spinto a creare la nostra “Alta Scuola di Perfezionamento in Narrazione Artistica Poliespressiva”.

La scrittura è confusa con la narrazione: chi narra dunque scrive, e chi scrive dunque narra? Elaborare un progetto non dovrebbe significare «scrivere» solo la componente espressiva letteraria dello stesso (i dialoghi e i commenti dell’autore); ma tant’è che al copywriter, allo sceneggiatore, al librettista, spesso è affidato anche il compito di elaborare il progetto narrativo, mentre all’art director, al regista, al compositore, al direttore della fotografia, all’illustratore, al coreografo è affidato quello di completare la realizzazione del progetto implicito dello scrittore, «abbellendo» il suo prodotto letterario con un’attività successiva e accessoria da praticare senza necessaria cognizione della narrazione. La regia e la sceneggiatura, anziché essere considerati come due aspetti del medesimo progetto narrativo audiovisivo, sono trattate più spesso come due mestieri praticabili non solo da differenti persone ma anche nella reciproca indifferenza. Di conseguenza è comunemente accettato che possano esserci racconti con buone sceneggiature ma pessime regie o viceversa, senza essere sfiorati dal dubbio che nei «racconti artistici» l’«adeguatezza» tra le forme narrative e quelle espressive sia necessaria per poter rappresentare la «complessità» dei racconti stessi.

L’illustrazione è considerata quasi sempre una ridondante «decorazione» nei romanzi, mentre assume rilievo nei fumetti dove i testi letterari sembrano invece «dipendere» dalle immagini come fossero note esplicative; raramente immagini e testi letterari sono studiati come «complementi» in testi «poli-espressivi», progettati per far interagire, nella loro indipendenza, le une con gli altri, e rappresentare così informazioni tra loro complementari.

Ormai l’attività dello sceneggiatore e quella del regista, così come quella del compositore e quella del librettista, sono considerate mestieri che si integrano solo nella realizzazione; il produttore decide chi fa cosa, e trasferisce il lavoro dall’uno all’altro come «fasi» di una catena di montaggio, in cui i dialoghi, le scenografie, le azioni sceniche, la musica arrivano l’una dopo l’altra come successive farciture di un racconto standardizzato senza qualità.

Così i romanzieri che perdono/vendono il controllo del loro lavoro si trovano a subire cattivi adattamenti, riduzioni che impoveriscono e stravolgono i loro progetti; d’altro canto i drammaturghi (anche quei pochi ancora bravi e ancora vivi che potrebbero parlare e protestare) devono subire quotidianamente regie che «interpretano» i loro lavori senza comprendere e rispettare il progetto autoriale.

Gli «indipendenti», quelli veri che sono in grado di controllare ogni fase e aspetto della realizzazione di un loro progetto e vi investono le loro stesse risorse … non esistono più; sono stati sostituiti da coloro che non trovano posto nei circuiti ufficiali della produzione e della distribuzione dei network … ma che sgomitano per riuscire a farne parte.

Solo i «One man band» come Charlie Chaplin, per evitare che il loro progetto venisse stravolto da coloro che avrebbero dovuto metterlo in scena, preferivano fare tutto da soli, mantenendo il controllo autoriale di ogni fase e aspetto della progettazione, realizzazione, distribuzione, e persino promozione della loro stessa opera.

Noi intendiamo fare di quelle eccezioni – costituite da «autori» a tutti i effetti – gli esempi a cui ispirarsi per imparare il mestiere del «narratore e cantastorie poliespressivo», capace di ideare intrecci narrativi appassionanti e soluzioni espressive adeguate per rappresentarli. Non a caso tra gli autori che assumiamo come maestri virtuali della nostra Scuola di Narrazione c’è proprio Charlie Chaplin, insieme a tanti altri che con i loro progetti, curati da loro stessi a partire dall’ideazione fino alla promozione, ci invitano a fare altrettanto e a insegnare a farlo.

Proprio per i presupposti sbagliati a cui abbiamo accennato, noi  pensiamo che oggi sia più che mai necessario disporre di un luogo (il nostro Laboratorio, fisico e virtuale, di ricerca e progettazione, da cui possiamo gestire la nostra Scuola di Narrazione online) dove si studino le interrelazioni tra i piani narrativi ed espressivi dello stesso progetto, dove si insegni a ricercare le soluzioni reciprocamente più adeguate, e dove si spieghi agli aspiranti autori come mantenere il pieno controllo della propria opera per potervi apporre la propria firma senza vergognarsene.

Chi, dal secolo scorso, insegna sceneggiatura senza prestare alcuna attenzione ad altri campi della narrazione, si è avvicinato a stento a regole e soluzioni già indagate e definite, nei secoli, dallo studio della narrativa letteraria. E d’altro canto, chi insegna “scrittura”, magari anche “creativa”, di solito non conosce e non si chiede quali regole e quali soluzioni siano state elaborate e definite negli ultimi secoli, prima dal teatro musicale e poi dal cinema, dove alcuni gradi maestri, come Wagner o Hitchcock, hanno inventato «forme» e definito «regole» che ogni scrittore di racconti, in qualunque forma espressiva e per qualunque realizzazione e distribuzione mediale, dovrebbe ben conoscere. Altrimenti, chi «crea» immaginando di poter scrivere senza essere «limitato» da «regole» e senza dover adottare o elaborare «forme», finisce solo per imitare «modelli standardizzati» ed essere «condizionato» da «automatismi».

Se le Scuole specialistiche di settore vantano un «orgoglio di genere mediale» per mascherare la loro impreparazione ad affrontare la narrazione sul piano inter-disciplinare dei rapporti tra le arti, e tra le arti e le scienze, al contempo esistono cattedre di semiologia che presumono di occuparsi di narrazione senza mai cimentarsi con i problemi della progettazione e dello studio di racconti in diverse forme espressive; e mentre partoriscono di continuo nuovi lessici per ridefinire il campo di cui si occupano, evitano di mettere alla prova le loro teorie in studi analitici, e meno che mai progettuali, che aiutino a capire come funzioni o come si possa costruire un nuovo classico della narrazione. Avete mai trovato un testo di un semiologo o di un «guru» della sceneggiatura che vi consenta di studiare scena per scena le soluzioni di un racconto per capire come è fatto? Come mai le loro teorie – anziché essere supportate da esempi di comodo ben scelti per giustificarle – non sono mai verificate e applicate su un intero capolavoro, per consentire a voi di giudicare se davvero possono aiutare a rivelarne e a comprenderne la ricchezza?

In questi anni noi ci siamo sforzati di ricucire la separazione tra «teorie, studi, e oggetti di studio», per consentirvi di ricavare le «teorie» – cioè i «principi generali di composizione e narrazione» dei testi – dalle «soluzioni» presenti nei testi stessi. Abbiamo voluto fare in modo che voi possiate osservare ogni scena di un medesimo grande racconto da più prospettive, attraverso molteplici studi – per ogni scena – da ogni punto di vista teorico esplicitamente assunto come criterio di indagine; e al contempo ci siamo adoperati affinché voi stessi possiate ricercare le applicazioni del medesimo principio in tutte le scene in cui è utilizzato nello stesso racconto o in altri racconti correlati. In questo modo le teorie che possono illuminarvi sul funzionamento dei racconti artistici sono messe alla prova e ricavate dai racconti stessi come meccanismi che li fanno funzionare. Di solito le teorie sono create e applicate – da critici e pseudo-studiosi che non hanno alcuna esperienza autoriale – o dovremmo dire «proiettate» sui testi oggetto dei loro discorsi (ci sembra inappropriato dire “dei loro studi”) senza alcuna attenzione ai principi che gli stessi autori hanno utilizzato per «comporli». Le «teorie» che interessano a noi sono invece quelle che rappresentano e definiscono i «principi metodologici» utilizzati dagli stessi autori; teorie che si possono ricavare come inerenti e implicite nelle «soluzioni» elaborate dagli stessi autori per ideare i loro capolavori, e che quindi aiutano a comprendere «quando», «come», «perché» quelle soluzioni sono utilizzate.

Nel creare i nostri «Sistemi di Studio Reticolare» abbiamo sempre pensato ad essi come i «manuali» virtuali di una «Scuola di Specializzazione», anch’essa virtuale, per quegli aspiranti artisti della narrazione che non si accontentano di saper raccontare come è stato insegnato loro in qualche Corso o Scuola, di sceneggiatura o di tecnologia, o che non sanno come applicare i modelli teorici appresi in qualche Università.

Abbiamo concepito i nostri Sistemi di Studio Reticolare come gli strumenti più idonei per un nuovo tipo di «Bottega Umanistica», dove, attraverso lo studio dei capolavori universali della narrazione, si possa imparare «come», anche oggi, racconterebbero bene belle storie quei grandi narratori che continuano a ispirarci in quanto autori di opere immortali, che non invecchiano con il passare del tempo e il mutare delle mode.

Come abbiamo già accennato, in alcune occasioni siamo già arrivati molto vicini all’eventualità di realizzare la nostra Scuola, quando qualche Amministrazione o Istituzione, solo apparentemente illuminata, ci ha illuso facendoci credere che ci fosse un genuino interesse ad investire nella formazione di una nuova generazione di veri «artisti», e che per tale nobile scopo fosse pronta a seminare e a pazientare piuttosto che cercare subito introvabili e improbabili «talenti naturali»; cioè quei nuovi autori per via ereditaria o per investitura politica, che, non avendo avuto dei bravi maestri, non possono essere in grado di fare altro che prodotti di genere standardizzati per soddisfare la bramosia dei Network, sempre affamati di nuovi prodotti «usa e getta» da distribuire ai propri utenti onnivori. Ora, dopo aver speso tanto tempo nell’utopistica ricerca di partner istituzionali «virtuosi», siamo un po’ meno fiduciosi di riuscire a incontrare un Ente che non pensi soltanto a raccogliere consenso, offrendo ciò che la gente si aspetta e finanziando quindi autori e progetti che rispondano alla «domanda del mercato» indotta dagli stessi Distributori di spazzatura (è evidente che l’assuefazione e la dipendenza non riguardano solo le sostanze chimiche).

Grazie alla perversa connivenza tra Scuole di narrazione che attraggono ingenui «talenti nati», Talent Show televisivi che eleggono professionisti mascherati da falsi talenti oppure veri incapaci ben scelti a rappresentare masse di giovani illusi di poter avere la loro stessa «fortuna», Collane editoriali nate per sfruttare i «nuovi» falsi talenti eletti dai media, Social Network che attirano presunti ma falsi talenti, e ancora Politiche Culturali che premiano i falsi talenti promossi dal mercato della cultura di massa, il «mercato» della formazione degli artisti è diventato esso stesso una grande messa in scena, per non dire una truffa ben organizzata.

È difficile, oggi, anche solo immaginare Ambienti Formativi che non vendano ad aspiranti artisti il miraggio di poter imparare «l’arte della narrazione» in un baleno, convincendoli che c’è già in loro stessi un artista che attende solo di essere partorito, e poi dando loro il primo e ultimo successo, il premio per la dabbenaggine che comprende la produzione di uno spettacolino o cortometraggio o libro (destinati a loro e i loro parenti), e un diploma con un timbro istituzionale.

Ma se continuano a proliferare queste Scuole che promettono ai loro potenziali allievi di aiutarli a «scoprire il talento che c’è in loro», è a causa di un luogo comune, tra i più diffusi, e più difficili da sradicare, di cui sono vittime e portatori inconsapevoli anche insospettabili e stimati studiosi che evidentemente non hanno mai voluto metterlo in discussione per non doverne affrontare le conseguenze. È il luogo comune che sentenzia laconicamente che “l’arte non si può insegnare”, che “il genio è innato”, e che, a fronte di qualunque sforzo si faccia per insegnare come si fa arte, in ogni caso il più rozzo degli uomini un giorno si sveglierà e scoprirà di essere il nuovo Leonardo Da Vinci.

Se questa concezione fosse presa sul serio, almeno produrrebbe l’effetto di far chiudere tutte le Scuole che millantano metodi per fare di voi degli artisti. Invece quelle Scuole si stanno trasformando via via in luoghi per «scoprire talenti», ovvero per illudervi di esserlo già e di poterlo scoprire ad una non tanto modica cifra da versare … grazie alla quale potrete incontrare quei talenti che ce l’hanno già fatta (a diventare macchine per far soldi, a diventare dei fenomeni stagionali mediatici), e potrete convincervi che se ce l’hanno fatta loro, prima o poi capiterà anche a voi, se solo vi metterete nelle mani giuste, … del gatto e della volpe.

Vorremmo dirvi allora quello che suggeriamo ai nostri allievi: quando trovate dall’altra parte del tavolo, o sul palcoscenico, o sullo schermo, qualcuno il cui lavoro vi stimola a dire “ciò che pensa e dice quel tale lo penso e lo faccio anche io, e se ce l’ha fatta lui posso farcela anche io”, domandatevi invece perché mai qual tale usurpa un posto che non dovrebbe spettargli. Non crediate che se qualcuno (per incompetenza) assomiglia a voi, e ha realizzato, messo in scena o pubblicato qualcosa che potreste fare persino voi senza possedere alcuna necessaria preparazione professionale, … allora per voi sarà altrettanto facile.

Anziché illudervi che senza alcuna preparazione si possa scrivere un libro di grande successo, o realizzare uno spettacolo senza saper recitare e dirigere, chiedetevi come mai un incapace (o dovremmo dire “diversamente capace”?) è stato eletto il re degli incapaci e aspetta solo che voi vi facciate proprio quella domanda per recarvi alla sua Scuola, per apprendere le sue magistrali lezioni, pendere dalle sue labbra, e scoprire a caro prezzo il lapalissiano segreto del suo successo. Chiedetevi piuttosto se non ci sia qualcuno che l’ha messo lì apposta affinché a voi venga voglia di spendere soldi e tempo per illudervi di ottenere lo stesso successo, anziché farvi la semplicissima domanda: “di chi è parente – o peggio – quell’incapace?”

È chiaro che in un mondo dove dei semianalfabeti scrivono e publicano, e dove si vendono telefonini promettendovi che, grazie alle incredibili tecnologie di cui sono dotati, potrete diventare anche voi “registi”, viene da domandarsi perché mai si dovrebbe investire in una formazione che richiede impegno e una certa fatica, molto tempo e studio, per tentare di imparare a fare quello che sapevano fare i grandi maestri, quelli di cui invidiamo i capolavori immortali. Perché mai dovreste farlo quando vi dicono che se siete già degli «artisti nati», prima o poi lo scoprirete, mentre se non siete «dotati» è inutile che studiate? E poi a che serve diventare artisti, dato che, anche senza saper far nulla, si può ottenere un insperato «successo»?

A queste ovvietà di «senso comune» vorremmo dare una risposta di «buon senso»: se oggi tutti, grazie alla rivoluzione tecnologica digitale, aspirano a diventare “registi di cortometraggi” (un tempo al massimo si aspirava a riprendere da dilettanti con la propria foto- o video- camera i momenti indimenticabili delle proprie vacanze, e si costringeva un vicino di casa a vederli con noi in attesa che lui si vendicasse mostrandoci i suoi); e se oggi tutti, grazie a corsi, blog, festival e siti-vetrina per aspiranti storyteller o sceneggiatori o drammaturghi, possono dirsi a qualche diritto “scrittori” (un libro o una regia oggi non si negano proprio a nessuno, basta pagare, o avere l’amicizia giusta o tanti followers), come mai, però, solo per vedere un film di Spielberg siete ancora disposti a pagare? E come mai, invece, per vedere il film di un vostro caro amico regista di cortometraggi siete disposti al massimo a vederlo gratis su youtube?

In altri termini, come mai se andate a un ristorante e vi offrono sul menu gli stessi piatti che sapreste preparare voi stessi – anche se al posto di “riso lesso” scrivono “riso nature”, e al posto di “spaghetti con il pomodoro” scrivono “spaghetti di filiera italiana su un letto di pomodorini del Piennolo del Vesuvio con basico genovese” – in ogni caso vi sembrerà di aver sprecato i vostri soldi … mentre se vi offrono un piatto che voi non sapreste mai preparare, allora vi sembrerà giusto o persino basso il prezzo richiesto per poterlo gustare?

Come mai ancora per visitare certi musei o mostre che ospitano capolavori, o per ascoltare certi musicisti che ritenete inarrivabili siete disposti a pagare somme anche molto alte – che forse non potreste nemmeno permettervi – mentre per altri eventi, che considerate più modesti, potreste prendere in considerazione di andarci solo se gratis, cioè avendoli prepagati con i soldi delle vostre tasse elargiti dalla Politica come finanziamento/mantenimento all’Ente autore/organizzatore dell’evento? In un mondo in cui presto tutti saranno autori di qualcosa, e nessuno si sentirà soltanto un fruitore, chi mai potrà ancora chiedere il prezzo del biglietto per dare accesso a cose che altri non sappiano fare? Quanti Teatri si riempiono oggi di spettatori solo grazie ai biglietti omaggio? Quanti film sono prepagati, e ai loro autori viene data la possibilità di continuare a farli pur senza avere pubblico? Quanti libri prepagati finiscono sulle bancarelle o al macero? Perché mai dovremmo sperare che qualcuno comperi proprio il nostro racconto se ognuno ha un racconto pronto da offrire agli altri con le medesime qualità? E con quali criteri alcuni sedicenti scrittori (leggi anche “registi” o “sceneggiatori” o “drammaturghi”) verranno mantenuti e altri abbandonati alla scrittura a proprio uso e consumo? In un mondo dove tutti si credono autori nessuno è più un autore.

La cultura di massa con i suoi strumenti social ha creato una nuova generazione di pseudo-autori incapaci, presuntuosi, illusi e autorizzati ad attendersi che qualcuno finalmente premi il loro talento dopo aver promesso loro grandi successi, dopo aver venduto loro una finta preparazione e una falsa attestazione di competenza. Ma finché coltiveranno l’illusione di essere diventati magicamente “autori affermati” partecipando a qualche Talent show e a qualche Corso per allocchi, finché crederanno agli apprezzamenti dei burattinai che alimentano questo mercato delle illusioni, non capiranno di essere stati ingannati anzitutto da loro stessi, e non riterranno di dover ripartire con umiltà dalle basi che non hanno mai avuto.

Un discorso a parte andrebbe fatto per quei fenomeni di massa che ottengono successi stagionali equivalenti a quelli che paradossalmente raggiungono gli youtuber e gli influencer, coloro che sono famosi per essere famosi, scelti apposta per far da specchietto per le allodole, cioè per altri adolescenti felici di vedere uno di loro diventare una star, con la speranza di riuscire prima o poi a prendere il suo posto. Questi fenomeni di «marketing» non ci interessano ma ci preoccupano.

Il problema – a nostro avviso – è che se non si «forma» il pubblico insieme ai nuovi artisti, e se non sono gli artisti a «formare» altri artisti ripristinando le «Botteghe» e formando loro stessi il loro pubblico affinché possa imparare ad apprezzare l’arte fin dall’infanzia, … non si rompe il circolo vizioso.

Oltre agli illusi, anche i veri artisti, posto che ce ne siano ancora, non avranno più pubblico e tantomeno mecenati, che ormai sono stati sostituiti da quei “talent scout” di potenziali fenomeni mediatici di sicuro successo, che forniscono a ciclo continuo, al pubblico di massa, nuovi personaggi famosi da idolatrare e poi da lapidare. E il pubblico non sarà più in grado di riconoscere gli artisti. Ma soprattutto l’arte finirà insieme ai pochi artisti sopravvissuti a questo scenario, perché nessuno potrà continuare il loro lavoro.

Così arriviamo al punto che ci tocca più da vicino. Dove sono gli artisti che possano trasmettere i loro preziosi insegnamenti ai potenziali veri artisti del futuro? Dove sono i maestri capaci di tornare a seminare e a coltivare, sin dalla scuola, ambizioni artistiche oltre che – o piuttosto che – «imprenditoriali»?

Da quando – nel secolo scorso – si è tagliato il cordone ombelicale con la «tradizione umanistica», da quando all’«arte» – che pochi già allora sapevano ancora fare – si è preferita la più democratica «cultura di massa» – che ha sostituto in blocco persino la «cultura popolare» fonte di tutta l’arte da sempre – gli ultimi «artisti» sono morti cercando di lasciarci fino alla fine ulteriori opere da cui trarre «esempio». Tuttavia, senza più formare nuovi artisti, le loro «Botteghe» sono scomparse; e dei succedanei hanno preso il loro posto. Da allora gli artisti (che di solito in vita non hanno grande successo) sono stati scambiati con coloro che hanno successo subito, magari per qualche stagione, ma quanto basta per garantire loro una vita nel lusso e passare il testimone ad altri fenomeni stagionali.

A questi nuovi pseudo-artisti è riservato persino l’onore dei «revival», facendoli diventare a volte «fenomeni di culto» per generazioni che vogliono ispirarsi a «uno che ce l’ha fatta». D’altro canto anche i fenomeni di culto possono produrre merchandising da offrire alle nuove generazioni, per cui può essere utile tenerli in vita. Ma gli artisti no, loro devono scomparire dalla scena e dalla memoria, perché se si continuasse a distribuire la loro opera e si insegnasse ad apprezzarla non ci sarebbe più posto per gli incapaci titolati, che presto verrebbero smascherati.

Così meglio far sparire dalla memoria collettiva i veri maestri, per eleggere «nuovi maestri» che li imitino malamente e riduttivamente senza rivelarlo. I «nomi» dei veri maestri possono tuttavia ancora giovare per «riscritture» e «rivisitazioni», per dare lustro a nuove opere ispirate ad essi, «omaggi», come si dice oggi, perché i maestri non possono protestare e rimandarli al mittente come «oltraggi».

Noi che sin dalla nascita dell’Istituto ci siamo promessi di andare umilmente a Bottega dai veri maestri, di apprenderne la lezione, di esplicitarla e di metterla di nuovo a disposizione di tutti quelli che sono disposti a faticare per apprenderla, abbiamo voluto ridar loro la voce trasformando ogni loro capolavoro in una parte di un potenziale grande «manuale virtuale di narrazione artistica», per insegnarvi, dalla loro stessa opera, come sono riusciti a creare capolavori potenzialmente immortali; immortali a meno che … non li si nasconda, seppellisca, cancelli, per far posto ad una nuova ondata di contenuti occasionali e stagionali, fatti apposta per riempire i palinsesti e i listini dei distributori, su cui si può lucrare tanto e con la cui realizzazione si possono anche mantenere i propri protetti attribuendo loro il ruolo nominale di “autori”.

Non potendo riportare materialmente in vita i nostri maestri, per noi e per voi, li abbiamo riportati in vita virtualmente, ripristinando le loro «Botteghe» per consentirvi di andare a lezione da loro. Così, anziché sentirvi costretti ad andare a lezione di narrazione e di scrittura da uno che ne sa quanto voi (che però ce l’ha fatta ad avere tanto successo, tanti followers, e tanti soldi), potrete decidere se andare invece a lezione da uno che è diventato immortale perché è stato in grado di creare opere che non invecchiano, non si storicizzano, non sono rappresentative solo del proprio tempo, non sono fenomeni di costume, e non sono comprensibili solo per il pubblico coevo o per coloro che conoscono bene gli universi storici dei suoi racconti.

Insomma, quando vorrete studiare come si può fare arte con la letteratura noi vi daremo la possibilità di apprenderlo da maestri d’eccezione come Charles Dickens o Lev Tolstoj o Stefan Zweig; quando vorrete studiare come si può fare arte con il teatro di prosa noi vi faremo andare a lezione da maestri come William Shakespeare o Oscar Wilde o Eduardo De Filippo; quando vorrete studiare come si può fare arte con il teatro musicale potrete recarvi alla bottega di Giuseppe Verdi o di Giacomo Puccini o di Gioachino Rossini o di Wolfgang Amadeus Mozart o di Richard Wagner. Quando vorrete studiare come si può fare arte con la narrazione per l’infanzia potrete scegliere se andare a lezione da James Barrie, o da Jean De Brunhoff, o da Lewis Carroll o da Walt Disney; e quando vorrete studiare come si può fare arte anche con il cinema noi, vi offriremo la possibilità di apprenderlo da veri maestri come Ernst Lubitsch, Charlie Chaplin, Alfred Hitchcock.

Questo è il nostro nuovo servizio online per voi, aspiranti o attuali narratori, insoddisfatti della preparazione che avete ottenuto frequentando cattivi maestri e scuole prestigiose solo di nome.

Noi vi offriremo quello che vi manca per poter padroneggiare una materia che solo pochi riescono ancora a trattare egregiamente, non perché «nati artisti», ma perché hanno avuto la fortuna o il merito di scegliersi come maestri degli autori più bravi di loro. Un maestro come Billy Wilder quando si metteva al lavoro per scrivere una nuova scena di un nuovo film si chiedeva: “Come lo farebbe Lubitsch?” (cioè un suo maestro).

La nostra scuola apre i battenti offrendovi, in una forma tecnologica adeguata alla fruizione online, i primi completi «Sistemi di Studio Reticolare» dedicati ad alcuni dei nostri maestri. In questo modo potrete essere seguiti sia da loro che da noi per tutto il tempo necessario alla vostra formazione. Per voi trasformeremo i più grandi artisti della nostra tradizione umanistica nei vostri «tutor virtuali», estraendo e offrendovi i loro insegnamenti dai loro stessi capolavori scena per scena.

Per frequentare la nostra Scuola non vi chiediamo altro che un piccolo contributo alla copertura delle spese che sosteniamo per realizzare, per voi, i nostri «Sistemi di Studio Reticolare». Non lucriamo sulla vostra formazione e non usiamo la vostra formazione per chiedere finanziamenti a Istituzioni che aiutano sedicenti maestri a sfruttare le illusioni di aspiranti artisti.