La Scienza Segreta dell'Arte Narrativa
Il nuovo Portale dell’Istituto MetaCultura dedicato allo Studio della Narrazione Artistica in ogni Forma Espressiva. Un Ambiente educativo e formativo rivolto a chiunque, per passione o professione, voglia scoprire e apprendere, insegnare e praticare la lezione metodologica racchiusa nelle opere dei Maestri.
La nostra Ricerca
1. I Presupposti Teorici
La nostra attività mira a identificare e a esplicitare, in capolavori artistici della nostra tradizione umanistica, quei principi scientifici di composizione e narrazione che solo i grandi autori sanno utilizzare al meglio, per controllare ogni aspetto, ideativo e realizzativo, dei loro progetti narrativi.
Con la nostra attività insegniamo a riconoscere quei principi ricavandoli dai capolavori degli autori che hanno saputo adoperarli meglio; inoltre insegniamo a elaborare con essi soluzioni per utilizzarli nella costruzione di nuove opere.
Per svolgere questa attività dobbiamo avere bene in mente di quali principi teorici ricerchiamo applicazioni nei testi che prendiamo in esame. E dobbiamo essere in grado di esplicitarli attraverso «metanarrazioni» – Cicli di Lezioni, Sentieri Narrativi, Sistemi di Studio Reticolare – che permettano ai nostri allievi non solo di comprendere ciò che di un capolavoro artistico emerge assumendo di volta in volta come prospettiva analitica un diverso principio, ma anche di imparare un metodo di studio, sia in senso analitico che progettuale.
Per questo la nostra attività è insieme scientifica – per quanto riguarda il metodo analitico – e artistica – sia per quanto riguarda gli oggetti che prendiamo in esame sia per il modo, narrativo, con cui noi stessi rappresentiamo le correlazioni interne ed esterne ad essi in base ai principi di funzionamento condivisi -, ma è anche didattica, perché mira a far apprendere ai nostri utenti le straordinarie capacità elaborative degli autori racchiuse nei loro stessi testi.
La nostra attività richiede, per svolgerla, competenze normalmente frantumate in discipline che non dialogano tra loro, a partire da quelle cosiddette “umanistiche”, separate, nei corsi di studi scolastici e universitari, da quelle “scientifiche pure”.
D’altro canto la nostra attività consente agli utenti di apprendere simultaneamente diverse competenze scientifiche, di scoprire relazioni tra di esse e di sperimentarne le possibilità applicative in ambiti artistici, per analizzare opere e per crearne di nuove.
I nostri maestri sono coloro che ci hanno insegnato a riconoscere e applicare quei principi teorici e metodologici che loro stessi hanno scoperto e definito.
Tra questi ci sono sia scienziati-puri, artisti-studiosi, studiosi-artisti; tra di essi ci interessano particolarmente coloro che si sono resi conto che, per compiere studi attendibili, dovevano «rigorizzare» gli strumenti metodologici in loro possesso, e quindi domandarsi, preliminarmente, con cosa studiavano quel che studiavano.
I «presupposti teorici» del nostro lavoro sono infatti le riflessioni «metateoriche» e «metalinguistiche» di quegli studiosi che hanno riflettuto sul «metodo di studio analitico e progettuale». Non per caso ci chiamiamo “Istituto Metacultura”.
La nostra attività fa interagire in modo esplicito «teorie» e «oggetti di studio» attraverso una pluralità di «studi-lezioni» costruiti appositamente da noi stessi per consentire ai nostri allievi di indagare un medesimo testo artistico da una molteplicità di prospettive, ma anche di applicare ogni prospettiva di studio a una pluralità di oggetti di studio, tutti quelli correlabili in base al medesimo principio narrativo condiviso.
Per ottenere questo risultato abbiamo dovuto ricercare e identificare, negli anni, tanti principi logici sparsi tra tante teorie scientifiche e raramente utilizzati per comprendere il funzionamento di opere dotate di qualità artistiche.
Sembra incredibile che nell’ambito degli studi sulla composizione e sul funzionamento di testi narrativi (almeno di quelli letterari), e in particolare di quelli artistici, non si trovino ad oggi metatesti – studi e lezioni – che in modo sistematico, scena per scena, ricerchino e spieghino le soluzioni autoriali racchiuse nelle opere a cui si riferiscono; e che anche nei casi in cui, almeno parzialmente o esemplificativamente, prendano in esame estratti di opere, colleghino lo studio del piano dell’espressione (la composizione) a quello della narrazione.
È paradossale, a nostro avviso, che anche i “teorici della narrazione” non siamo riusciti a mostrare uno studio completo di un testo artistico in base a principi da loro stessi definiti. Forse perché i principi che ciascun teorico è riuscito a individuare non sono applicabili ad altro che a piccole parti e ad alcuni livelli di un capolavoro artistico? O forse perché le opere da loro considerate sono solo «usate» – non «studiate» – come «pretesti» per «dimostrare» (in senso comunicativo-pubblicitario piuttosto che scientifico) pregiudizi, convinzioni ideologiche spacciate per teorie scientifiche?
Noi proviamo un certo imbarazzo – come umanisti – nel constatare quanti errori siano stati compiuti nel tentare di individuare principi generali di funzionamento dei testi artistici applicando male teorie delle scienze cosiddette esatte, o come si sia scavato ancora così poco da quando furono identificati «tipi» e «motivi» per classificare il patrimonio narrativo di favole e leggende delle tradizioni cultuali della nostra Civiltà.
Abbiamo visto illustri studiosi arrendersi e compiere vere e proprie abiure nei confronti del “metodo scientifico”, per rifugiarsi nel più rassicurante “metodo storico” o in quella chiacchiera sociologica tanto superficiale quanto ovvia che mette d’accordo tutti.
Ci sembra incredibile che per cancellare grossolani errori applicativi di teorie scientifiche in campo artistico si sia buttato via il bambino con l’acqua sporca, rifiutando in blocco le «analisi formal-strutturali» insieme alle riduttive derive ideologiche “strutturalistiche”.
Abbiamo visto la semiologia trasformarsi, sotto i nostri occhi attoniti, nella scienza della lettura dei fondi di caffè, nella giustificazione teorica di quel simbolismo dietrologico tanto temuto da Umberto Eco quanto da lui stesso alla fine accettato attraverso i suoi allievi-epigoni.
Abbiamo anche visto fallire gli esperimenti di tutti coloro che, dall’esterno, non comprendevano la narrazione artistica , perché non la praticavano, e finivano poi per avvicinarsi ad essa assumendo malamente i panni dei presuntuosi narratori dilettanti.
Ci siamo meravigliati vedendo assurgere a «guru della narrazione» dei modesti raccoglitori e classificatori di «casi eclatanti». Essi sono riusciti a spacciare «cliché» come fossero «regole strutturali», e a formulare «ricette a buon mercato» estraendole «empiricamente» dai “successi stagionali” di film e serie televisive di nessuna qualità, ma divenuti “fenomeni di culto” grazie alla diffusione velenosa e virale della cultura di massa.
Meglio i tentativi compiuti da «autori-studiosi» per classificare e spiegare la loro stessa grandiosa opera e quella dei loro maestri. Dai loro esempi illuminanti possiamo trarre ispirazione e indicazioni circa le strade più promettenti da seguire, come mostrano ad esempio le “Lezioni americane” e tutta la saggistica di Italo Calvino.
Ma nonostante le interessanti eccezioni costituite da alcuni studi esemplari di «meta-letteratura» (i saggi sulla scrittura elaborati da scrittori come Poe, Stevenson, Calvino, Queneau, Eco …), quello che a nostro avviso ha penalizzato e continua a penalizzare gli «studi umanistici» è stata l’incapacità degli studiosi di assumere una prospettiva più generale nel ricercare gli strumenti più adatti per prendere in esame gli oggetti di studio. Essi invece hanno preferito elaborare diverse pseudo-teorie specifiche per ciascuna materia di studio. E l’impreparazione umanistica degli «umanisti contemporanei» li ha resi inermi e ridicoli nello sforzo di spiegare il cinema con il cinema, la letteratura con la letteratura, il teatro con il teatro, il teatro musicale con il teatro musicale.
Di fronte alla decadenza degli “studi umanistici”, al momento ridotti a “studi di genere” e a demenziali dibattiti sul “politicamente corretto” e la “cancel culture”, a volte ci sentiamo scoraggiati; ma più spesso ci sentiamo spinti a imprimere una svolta negli studi umanistici, ridefinendone le competenze e gli obiettivi, sostenuti dagli ideali e dal metodo che condividiamo con coloro che sono stati e continuano ad essere, anche da morti, i nostri Maestri.
Ciò che facilita lo svolgimento del compito che ci siamo dati, di fronte a tale disarmante vuoto teorico e speculativo, è la preparazione che ognuno di noi, fin dai primi soci fondatori, possedeva già o ha acquisito per svolgere questo lavoro. Ogni socio collaboratore deve infatti avere una formazione realmente interdisciplinare, non legata a un solo campo di studi, ovvero una preparazione scientifica insieme a una buona conoscenza degli oggetti artistici, e persino un’utile competenza tecnologica; tutte abilità acquisite attraverso studi trasversali che oggi, secondo gli attuali piani di studio, si direbbero non regolari e non appropriati.
Oggi negli ambienti accademici si condanna e si scoraggia ogni tentativo di studio metodologico e di elaborazione teorica. La sola teoria o meglio ideologia presupposta è quella per la quale bisognerebbe abbandonare ogni ambizione scientifica – essendo la scienza ormai assimilata alle religione – e assumere invece prospettive storiche o sociologiche per trattare gli oggetti con quell’ambiguità debole, liquida e relativistica grazie alla quale ogni spiegazione è valida, a casa propria.
Avendo da anni deciso di operare fuori da questi ambienti opprimenti e condizionanti, noi non abbiamo abbandonato le ambizioni scientifiche con cui è nato il nostro stesso Istituto; anzi, abbiamo recuperato dall’acqua sporca quel bambino costituito dalle ricerche in ambito umanistico condotte dagli scienziati che si sono domandati, come noi, se ciò che qualifica gli studi umanistici siano solo gli oggetti di studio o anche i metodi; e se per trattare oggetti di studio tanto differenti tra loro non si debba possedere una strumentazione scientifica tanto generale da poter spiegare le differenze, anziché adattarsi ad esse generando innumerevoli spiegazioni empiriche ad hoc.
Noi non abbiamo abbandonato, ma anzi abbiamo continuato a sviluppare le ricerche di scienziati umanisti come Roman Jakobson, Claude Bremond, Juri Lotman, Claude Levi-Strauss, Alberto Cirese, che si chiedevano se i fenomeni culturali – narrativi, linguistici, mitologici, parentologici – si dovessero trattare assumendo il punto di vista relativo di chi ne è il portatore, o se invece fosse indispensabile assumere un punto di vista più alto, cioè adottare la strumentazione scientifica proveniente dalle scienze esatte per costruire modelli logici in grado di esplicitare leggi del comportamento umano e spiegare le differenti costruzioni culturali a partire da strutture logiche comuni.
Ai loro insegnamenti abbiamo aggiunto quelli di alcuni grandi autori che, riflettendo sulla loro attività, esplicitandone alcune regole e strategie, ci hanno invitato direttamente o indirettamente a esplorare e indagare i principi da loro assunti nell’elaborare soluzioni per i loro capolavori; quei principi, condivisi tra capolavori, con cui i grandi autori creano da sempre reti intra- e inter- testuali di connessioni logiche, che pur non essendo immediatamente percepibili, sostengono le architetture delle loro opere.
Partendo da queste incoraggianti premesse abbiamo sperimentato per anni soluzioni metodologiche e tecnologiche che ci hanno permesso di costruire «sistemi ipermediali» adeguati a rappresentare, esplicitandoli, i labirinti testuali, i sistemi di domande e risposte creati dagli autori per far funzionare i loro capolavori; per creare, cioè, perfette architetture in cui, a differenza della vita, la casualità è a tal punto ridotta da trasformarsi in causalità e sistematicità.
E dal momento che, proprio muovendoci al di fuori dei confini disciplinari e dei settori accademici, abbiamo potuto ottenere risultati che hanno suscitato l’ammirazione dei nostri maestri prima che ci lasciassero, (le attestazioni personali di stima da parte di Cirese, Laborit, Lotman, Prieto, contano per noi più di qualunque riconoscimento accademico) ci siamo convinti di aver imboccato la strada giusta.
Dai primi prototipi ipermediali, con cui abbiamo dato una forma adeguata ai nostri studi reticolari di opere di grandi narratori, abbiamo realizzato, negli anni, sia Modelli logici e tecnologici sempre più raffinati per rappresentare la complessità degli oggetti di studio di cui continuiamo ad occuparci, sia Sistemi di Studio Reticolare, dedicati a opere dei maestri della narrazione, che fanno già parte degli strumenti di studio a disposizione degli studenti della nostra “Scuola di Narrazione Artistica Poliespressiva”, accessibile da questo Portale. Ognuno dei nostri Sistemi nasce dal desiderio di far conoscere e supportare lo studio dell’opera degli autori che più hanno stimolato la nostra attività con le loro perfette architetture narrative.
Per tutte queste ragioni dovrebbe apparirvi evidente che, se volte essere nostri collaboratori, per inserirvi nel nostro gruppo e per partecipare al nostro lavoro operando adeguatamente sui tesori narrativi di cui ci occupiamo, dovrete acquisire preliminarmente molte competenze di diversa natura.
Una materia tanto vasta e complessa come quella di cui ci occupiamo – la narrazione artistica in ogni forma espressiva – richiede, per poter essere trattata, un bagaglio di strumenti ampio e rigoroso, adeguato alla ricchezza e raffinatezza di ciascuno degli oggetti che prendiamo in esame.
Per questo noi stessi formiamo i potenziali collaboratori, facendoli partecipare alla nostra attività di Bottega e prendendoci cura personalmente e individualmente della loro preparazione; una preparazione di cui ci occupiamo insieme ai nostri Maestri in vesti di tutor virtuali.
Per prepararci alle imprese da cui scaturiscono i nostri servizi e prodotti, e per preparare i nostri allievi, è fondamentale per noi poter padroneggiare i presupposti teorici che i nostri Maestri ci hanno lasciato. E siccome noi non nascondiamo – ma dichiariamo con vanto – i nomi dei nostri maestri, vogliamo sempre ricordarli, a chi ci legge e ci studia; e, ogni volta che possiamo, vogliamo anche linkare la loro opera. Tra di essi vogliamo presentarvi almeno i nostri primi Maestri, e indicarvi per ciascuno alcune delle ragioni per cui i loro studi metodologici costituiscono un presupposto imprescindibile del nostro lavoro:
– Alberto Mario Cirese, per la sua concezione reticolare, poliprospettica e multiplanare, dello studio testuale e della costruzione di opere a carattere metodologico e manualistico; per la sua visione interdisciplinare degli studi umanistici; per il suo sforzo di rigorizzazione degli strumenti di studio delle scienze umane, ovvero per il suo contributo nell’applicare alle scienze umane gli strumenti delle scienze logiche; per la sua convinzione che lo studio dei presupposti teorici e la ridefinizione degli strumenti di studio facciano parte della ricerca stessa e ne costituiscano i fondamenti; per la sua dedizione alla ricerca metodologica; per la sua attenzione alla logica negli oggetti di studio oltre che degli strumenti di studio; per la sua concezione dello studio metateorico e metalinguistico come necessario strumento metodologico della ricerca scientifica; per la sua ricerca delle invarianti che soggiacciono alle variazioni culturali; per la sua distinzione tra la funzione segnica e quella fabrile; per la sua ridefinizione dei bisogni primi e secondi nello studio delle pratiche culturali.
– Henri Laborit, per la sua distinzione tra i tipi di memoria e per la sua attenzione alla memoria elaborativa come tratto distintivo umano; per la sua concezione dell’educazione anti-specialistica ma poli-disciplinare; per il suo sforzo di correlare gli studi bio-logici a quelli psico-logici e socio-logici, ovvero di studiare i rapporti tra il «micro» e il «macro» nelle strutture naturali e sociali; per il suo studio dell’informazione a tutti i livelli in cui possa essere ottenuta per via conoscitiva piuttosto che comunicativa; per la sua concezione di sistema neghentropico; per il suo studio analitico dei livelli di organizzazione degli organismi; per il suo esempio di laboratorio di ricerca interdisciplinare; per la sua battaglia contro il riduzionismo scientifico; per la sua attenzione agli automatismi nel comportamento umano; per la sua concezione di didattica «a fisarmonica» insieme globalizzante e focalizzante.
– Charles Darwin, per l’avvio degli studi sulle «espressioni» come invarianti nel comportamento umano, e per la sua implicita distinzione tra espressione e comunicazione.
– Juri Lotman, per il suo studio teorico della «lingua artistica» intesa come «sistema di simulazione secondario» costruito sui linguaggi comuni; per la sua attenzione alla struttura «multiplanare» dei testi artistici e alla necessità, per questi ultimi, di «semantizzare la forma espressiva»; per la ridefinizione del rapporto tra opera artistica e lettore; per lo studio dell’ambiguità, della polisemia e dell’adeguatezza delle forme nei testi artistici; per la sua concezione enciclopedica dell’opera d’arte; per lo studio del rapporto tra automatismo e informazione; per l’identificazione del valore informativo dei testi artistici nella molteplicità delle correlazioni che ogni articolazione stabilisce con altre, e nel mutamento di valore informativo conseguente al cambiamento di posizione strutturale degli elementi costitutivi.
– Theodor Nelson, per la sua concezione di editoria diffusa online, non gerarchica ma reticolare, non chiusa ma implementabile, che separi i dati correlati dai criteri di correlazione, e che postuli una rete ipertestuale di metadocumenti che contengano solo indirizzi di oggetti di studio esterni e criteri di correlazione tra i metadocumenti stessi.
– Richard Wagner, per la sua concezione di «opera totale» derivata dalla sua peculiare condizione di artista completo, autore sotto ogni aspetto di progetti per il teatro musicale; per aver elaborato un’opera artistica e insieme saggistica, da cui possono essere ricavati e definiti insegnamenti metodologici di carattere generale riguardanti tanto la costruzione di racconti multi-espressivi quanto le capacità multi-disciplinari per elaborarli e realizzarli.
– Roberto Rossellini, per il suo progetto di realizzare una «polienciclopedia» dei saperi umanistici che comprendesse cioè diversi livelli enciclopedici e consentisse di esaminare gli stessi oggetti da prospettive diverse; per la sua idea di connettere virtualmente tra loro le Botteghe umanistiche di ogni tempo e luogo allo scopo di ridare, alle nuove generazioni, la possibilità di apprendere, dai veri grandi maestri, insegnamenti etici, morali e metodologici ormai perduti.
– Alfred Hitchcock e François Truffaut, per il loro progetto – parzialmente realizzato – di realizzare un manuale implementabile e reticolare su una materia (quella audiovisiva) nella quale – prima del loro contributo agli studi – non si riteneva possibile identificare e definire meccanismi costanti al variare dei progetti e degli oggetti presi in esame; per il loro contributo metodologico allo studio della narrazione artistica attraverso una puntuale doppia e correlata attività artistica e saggistica in cui la stessa scrittura diventa racconto filosofico, narrazione e metanarrazione.
– Italo Calvino, per la sua concezione di autore-studioso e la sua capacità di creare racconti filosofici, di parlare di scienza attraverso l’arte, e di usare la narrazione artistica per avvicinare i lettori allo studio scientifico della narrazione artistica stessa.
– Stefan Zweig, per aver anatomizzato le ragioni del degrado di cui soffre la nostra Civiltà, e per aver raccontato i valori della tradizione umanistica da recuperare.
– Orson Welles, per aver mostrato come progettare e realizzare il racconto filosofico nel cinema; per la sua concezione di racconto non lineare narrato in forma sequenziale; per la sua capacità di trasformare racconti letterari o drammaturgici in racconti cinematografici mantenendo e facendo interagire le diverse forme espressive in una narrazione multiespressiva.
– Ernst Lubitsch, per aver mostrato come l’«arte della variazione» non sia solo un fenomeno musicale, ma il «modo» più generale con cui gli artisti parlano tra loro anche a distanza di secoli.
– Walt Disney, per averci mostrato come la costruzione di tanti capolavori non sia condizionata, ma anzi resa possibile, dal padroneggiare e rispettare un numero delimitato di regole del gioco.
– James Barrie, per averci mostrato le differenze e le relazioni tra la scrittura letteraria e quella drammaturgica, e per aver esemplificato come e cosa è necessario fare per trasformare un testo letterario in un testo drammaturgico.
– Lewis Carroll, per averci stimolato, con la sua opera labirintica, a creare il primo labirinto narrativo ipertestuale e il primo reticolo cognitivo per studiare il labirinto stesso.
– Jean De Brunhoff, per averci mostrato come la «scrittura poliespressiva» sia lo strumento adeguato per dare alla «narrazione artistica», a cominciare da quella destinata all’infanzia, tutte le qualità necessarie per far crescere i ragazzi e educarli all’arte e con l’arte.
– Jean Pierre Ponnelle, per averci mostrato in che modo possano essere superati i confini tra teatro e cinema, e come si possa costruire una vera regia multiespressiva.
– Jordi Savall, per averci mostrato come si esplora, si indaga e si rappresenta un universo culturale, creando «rotte» e riconnettendo le soluzioni più sofisticate della produzione artistica alle fonti orali e popolari; come, attraverso l’arte, si possa tornare a tessere il dialogo tra Civiltà, necessario per contrastare le chiusure relativistiche e le politiche nazionalistiche che vorrebbero opporre tra loro persino gli artisti – per loro scelta cosmopoliti – nonché contendersi e precludersi i capolavori patrimonio dell’umanità, necessariamente senza confini e senza frontiere.