La Scienza Segreta dell'Arte Narrativa

Il nuovo Portale dell’Istituto MetaCultura dedicato allo Studio della Narrazione Artistica in ogni Forma Espressiva. Un Ambiente educativo e formativo rivolto a chiunque, per passione o professione, voglia scoprire e apprendere, insegnare e praticare la lezione metodologica racchiusa nelle opere dei Maestri.

Anche se non è tra i nostri obiettivi primari dare una nuova sistematizzazione teorica a concetti metodologici di diversa provenienza che fanno parte del nostro bagaglio scientifico, tuttavia consideriamo parte del nostro lavoro esplicitare i presupposti teorici tanto delle nostre indagini quanto delle complesse costruzioni artistiche che prendiamo in esame attraverso di esse.

Denominando e definendo i principi narrativi e compositivi li rendiamo oggetti di studio insieme ai testi artistici in cui sono applicati.

Proprio il tipo di attività che pratichiamo ci ha costretti a ridefinire principi che spesso sono usati senza dichiararli da parte degli autori, oppure sono teorizzati ma mai ricercati nelle loro applicazioni testuali da parte degli studiosi; al contempo ci ha indotto ad esplicitare il nostro stesso modo di lavorare e a dare un nome ai concetti che guidano il nostro lavoro, a cui pensiamo quando elaboriamo e realizziamo i nostri progetti e servizi.

Così quando ci sembra che le cose che facciamo e il metodo con cui lavoriamo non sono rappresentati adeguatamente dai termini in uso sia in ambito scientifico che artistico e didattico, preferiamo dare nuovi nomi ad essi piuttosto che ridefinire i concetti associati a nomi ormai legati a luoghi comuni che pesano come pregiudizi sul nostro lavoro.

È ormai diventato impossibile per noi dialogare con pseudo-studiosi che mai rimettono in discussione le tesi che costituiscono il loro credo ideologico: Con esse non solo indottrinano nuove generazioni di ulteriori pseudo-studiosi e indottrinatori, ma persino ispirano pseudo-artisti a perseguire strade che contribuiscono al degrado culturale in cui viviamo, anziché combatterlo. Perciò siamo costretti a pensare a un nuovo lessico per indicare operazioni che non vogliamo in nessun caso assimilare a quelle che combattiamo.

È comprensibile che chiunque senta parlare del nostro lavoro, o ne veda o legga sbrigativamente qualcosa, cerchi di ricondurlo alle categorie che conosce e a cui si aggrappa per giudicare una novità.

Ma senza falsa modestia noi creiamo novità nel settore educativo e formativo da oltre quaranta anni, e proponiamo, con esempi verificabili, un modo di studiare e apprendere la narrazione artistica – un modo adatto per identificare soluzioni autoriali e ricavare principi generali di progettazione – che purtroppo non ha precedenti (in ambito artistico) e di conseguenza non è confrontabile con ciò che oggi viene realizzato e offerto a studenti e studiosi che a vario titolo vogliono imparare come studiare e fare arte. Sottolineiamo “purtroppo”, perché avremmo volentieri condiviso – e in parte delegato – il difficile compito che continuiamo a svolgere senza sosta per rispondere alla grave mancanza di altri soggetti al contempo desiderosi e capaci di fare quello che facciamo noi.

In altre parole noi cerchiamo di realizzare quel che avremmo voluto trovare nei manuali e negli studi testuali quando eravamo solo degli studenti, quel che abbiamo ricercato invano ovunque, e che infine abbiamo deciso, per necessità, di elaborare noi stessi, investendo tutte le nostre risorse in questo «nostro» campo (in cui operiamo per lo più soli e talvolta male accompagnati) al confine tra ricerca scientifica artistica educativa e tecnologica.

Con questo vogliamo dire che pur avendo avuto e trovato grandi maestri, quelli di solito non si occupavano di arte; viceversa quelli che incontravamo titolati a parlar d’arte, troppo spesso lo facevano in modo non scientifico, senza presentare studi sistematici di opere d’arte che permettessero a un allievo non di apprendere giudizi ma di ricavare criteri di giudizio applicabili ad altri oggetti oltre quelli da loro presi in esame.

Di seguito indichiamo alcuni concetti che abbiamo dovuto ridefinire e in alcuni casi anche rinominare allo scopo di evitare quegli equivoci, con i nostri interlocutori, che nascono spesso proprio dall’assunzione implicita di differenti presupposti teorici, non dichiarati perché ingenuamente considerati condivisi a causa del lessico ambiguo.

La narrazione artistica

Con la nostra attività ci occupiamo di quel tipo di narrazione che supera i confini geografici, temporali e generazionali, che non invecchia ma anzi costituisce un investimento sul futuro da parte di chi la fa e da parte di chi la produce e distribuisce. La narrazione artistica non va confusa con i successi stagionali. Inoltre non rappresenta i costumi del tempo dell’autore né dei suoi personaggi, non è storicizzabile, non è «profetica» ma universale; non è «impegnata» cioè non è ideologica e pedagogica, non è «di parte», non manda «messaggi» ma aiuta a riflettere, perché non mostra i fenomeni di cui si occupa da un solo punto di vista, ma li indaga e rappresenta da più prospettive senza nascondere le prospettive ma esplicitandole; dà molte risposte ma pone ancor più domande, racconta fenomeni complessi senza ridurli; non parla di un uomo ma dell’uomo; non «bara» con il fruitore ma lo sfida a usare e incrementare le sue capacità congetturali per immaginare gli sviluppi, cioè le «mosse» dell’autore; dialoga non solo con se stessa ma con altre opere d’arte (non con la spazzatura), non «cita» a sproposito ma «adotta» a proposito le soluzioni dei maestri, e non si vergogna di dichiarare i propri maestri; crea un tessuto di correlazioni interne ed esterne tra tutte le opere che costituiscono variazioni implicite o esplicite di medesimi modelli logici e archetipici; ha una struttura non lineare ma «reticolare»; è articolabile in parti autonome e al contempo correlate tra loro; è concepita come un «sistema» in cui nulla è inserito a caso e in cui il «casuale» è trasformato in «causale»; è «centrifuga» non centripeta, cioè non sostituisce o include altri testi ma invita a esplorare testi al di fuori di essa.
A chi ci chiede perché ci occupiamo poco di artisti e di opere della «Contemporaneità», noi rispondiamo che anzitutto vogliamo premiare coloro che, creando opere immortali, si sono già meritati il titolo di potenziali Maestri; è a loro che pensiamo vada attribuito il compito fondamentale di formare, nella contemporaneità, gli umanisti del futuro. Poi aggiungiamo che non di rado ci occupiamo anche di autori nostri contemporanei, e talvolta ci piace scommettere su alcuni di essi, quelli di cui abbiamo apprezzato qualità che potrebbero farli diventare dei nuovi «classici» e di conseguenza donare alle loro opere l’immortalità dell’arte. A questi autori dedichiamo la medesima attenzione che diamo a coloro che già fanno parte dell’Olimpo dei Classici. Per altri «fenomeni» del «Contemporaneo», non solo non scommettiamo che diverranno dei «classici», ma potremmo scommettere che non supereranno le «mode contemporanee», e che rimarranno fenomeni stagionali destinati, come tutte le mode, a scomparire per essere poi ricordati come fenomeni «di culto» da feticisti, o, ogni tanto, da critici nostalgici in qualche Revival di dubbio gusto.
Dal momento che, inoltre, è praticamente impossibile osservare le cose con distacco e dall’interno, soprattutto quando esse sono gonfiate, esaltate o disprezzate dalla cultura di massa che ricerca fenomeni di costume da cavalcare fino ad esaurirli, preferiamo occuparcene quando il clamore è cessato; così lasciamo sedimentare opere che a distanza rivelano meglio qualità o difetti che è più difficile scorgere se esse fanno parte del mondo in cui viviamo. Seguendo le orme dei nostri maestri, preferiamo occuparci di cose che non sono troppo vicine a noi, così da poterle osservare con il necessario distacco critico. In questo modo nessuno ci potrà mai accusare di partigianeria, di parentela, di amicizia nei confronti degli autori di cui ci occupiamo, che potrebbero essere come minimo nostri nonni o al massimo lontani avi. In ogni caso, al momento, non ci risulta alcuna parentela nel nostro albero genealogico con gli autori di cui ci occupiamo.
Qualcuno potrebbe affermare che è troppo facile occuparsi di «capolavori immortali», dal momento che essi, essendo per definizione immortali, non dovrebbero aver bisogno d’aiuto per continuare ad essere distribuiti, fruiti e studiati. Ma il paradosso è che proprio quei capolavori appaiono oggi più in pericolo, perché – tranne i pochi casi divenuti oggetti di interesse per i massmedia – vengono lasciati all’incuria (non più ripubblicati, restaurati, promossi) da un mondo che cerca sistematicamente di cancellare la memoria del proprio passato, così da non doversi vergognare in un possibile confronto con ciò che sta facendo, in nome dell’arte, in campi come l’architettura, la musica, il teatro, etc.

Lo studio generale e interdisciplinare dei Principi e delle Soluzioni della narrazione e della composizione dei testi artistici

Quando iniziammo la nostra attività collaboravamo con un Centro che finalmente si occupava di educazione musicale in modo più rigoroso e scientifico di come la Scuola della «Creatività» l’aveva introdotta (tra le materie cosiddette «integrative») e di come la trattava, considerandola come una cosa a sé stante (senza legami con le altre arti e men che mai con le scienze), trattandola in modo «spontaneistico» e riducendola a occasione occasione di «socializzazione». Il nostro approccio allo studio della composizione e della pratica esecutiva come modi per scoprire i segreti dell’arte, usando la scienza per capire come si fa a creare e realizzare un capolavoro artistico, a studiarlo e ad eseguirlo in modo rispettoso del progetto autoriale, già allora ci aveva portati a concentrarci su questioni metodologiche, sull’insegnare un metodo di studio scientifico dell’arte inteso sia in senso analitico che progettuale. L’idea di trattare lo studio della musica come un’attività di apprendimento e di applicazione di capacità logiche, sin dalla scuola di base, per favorire l’acquisizione di un metodo scientifico nel fare e studiare arte, ci interessava a tal punto che decidemmo di creare un Istituto apposito, il nostro, per poter trattare nello stesso modo ogni forma di composizione (il nome completo del nostro Istituto è “Istituto MetaCultura Studi di Composizione”), e non di meno per studiare i rapporti tra le forme della composizione e le forme della narrazione.
Fin dalla nascita dell’Istituto iniziammo a sperimentare, analizzare e insegnare le possibili interazioni tra la composizione e la narrazione, sia studiando le diverse forme espressive separatamente, per trattare la narrazione mono-espressiva, sia insieme, nella loro integrazione, per trattare la narrazione multi-espressiva.
Aver fatto nascere un Istituto che studia i principi logici universali della narrazione e della composizione, ricercando le invarianti metodologiche al di là dei diversi campi artistici, e che al contempo studia in che modo la composizione dia vita a diverse forme artistiche sfruttando le diverse forme espressive e integrandole tra loro, ci rende orgogliosi e ci stimola a continuare in questa attività nonostante gli ostacoli che incontriamo ogni giorno.
Oggi la nostra teorizzazione scientifica sulla metodologia di studio interdisciplinare dei principi della composizione e della narrazione artistica è diventata un tratto specifico del nostro Istituto, che ci differenzia da qualunque altro Ente che tratta le forme dell’arte nella loro indipendenza e che non adotta una strumentazione scientifica efficace e adeguata alla complessità degli oggetti di studio.
Un altro tratto che ci ha caratterizzato sin dagli inizi, anche rispetto ai nostri partner di allora, è che per noi trattare la complessità dell’arte non è una chimera forse raggiungibile dopo aver trattato oggetti banali o aver giocato con esercizi semplici e incoraggianti che non fanno neppure intuire la complessità degli oggetti di studio e della materia trattata. Molti, a differenza di noi, considerano l’arte superflua perché il loro interesse per le forme della composizione e della narrazione consiste nel trattarle come pretesti per attività che hanno come scopo la partecipazione, l’inclusione, l’esternazione di problemi psicologici e sociali. E paradossalmente chi tratta la narrazione e la composizione o il semplice fare musica pittura e scrittura solo per questo scopo dimenticandosi che la scuola e l’educazione potrebbe anche includere lo sviluppo di capacità intellettive, elaborative, come solo l’arte e la scienza possono fare, finisce per chiamare “arte” qualunque attività di produzione, sonora, visiva, o letteraria essi conducano con i loro allievi. Di conseguenza per questi educatori la complessità non è  una cosa indispensabile da trattare, anzi è spesso persino considerata pericolosa perché fa emergere le incapacità degli allievi e quelle degli stessi docenti, e porrebbe un serio problema riguardo le responsabilità educative di una società che non fa abbastanza per far crescere (non solo sul piano affettivo) le nuove generazioni e per creare le condizioni per cui l’arte e la scienza possano continuare. Questi pseudo-educatori sono anche coloro che contribuiscono a illudere, chi si diletta già per suo conto a scrivere, dipingere, suonare, filmare, recitare, che non vi è alcuna soluzione di continuità tra la loro attività dilettantistica e quella degli artisti, che l’arte è democratica e che il problema della distanza è stato superato da quando tutti hanno avuto a disposizione un videofonino per fare film e hanno potuto scrivere sul proprio biglietto da visita “autore dei cortometraggi”, o – grazie a internet – hanno potuto creare un blog per presentarsi come “autori di racconti letterari”.
Ma noi studiamo e insegniamo «come si fa» quella letteratura, quel cinema, quella musica che solo pochi «hanno saputo fare», creando capolavori per i quali ognuno di noi è ancora disposto a viaggiare e spendere soldi per poterli ammirare.
Noi non insegniamo a fare cinema nel senso di «apprendimento di alcune soluzioni tecnologiche per realizzare un cortometraggio», non diamo ai nostri utenti certificazioni di abilità nel realizzare quel che possono imparare a fare anche da soli, né tanto meno diamo loro premi per aver realizzato un cortometraggio su un tema di interesse politico affinché si convincano di aver contribuito, nel loro piccolo, a «denunciare» un problema sociale.
Noi insegniamo a fare cinema d’arte «come lo hanno fatto e come lo farebbero» Hitchcock o Lubitsch, cioè quei Maestri che si sono posti le medesime domande nell’intraprendere la loro stessa formazione autoriale, chiedendo a grandi autori che erano riusciti prima di loro a creare capolavori immortali, nella letteratura e nel teatro di prosa e musicale, di insegnare loro «come fare arte».
La nostra attività inizia dove si ferma quella di coloro che vendono diplomi e corsi introduttivi alle tecniche di produzione distribuzione e marketing, per illudere i loro utenti di aver imparato a fare cinema o a scrivere un romanzo. La nostra attività di studio, formazione e didattica inizia quando qualcuno di voi non si accontenta più di suonare con gli amici, per stare insieme, o di esprimere le proprie idee su un argomento pressante sul proprio blog, proprio come fanno e sanno fare tutti. Nel momento in cui vi chiedete dove e come poter apprendere le capacità straordinarie di quei grandi autori a cui siete disposti a pagare una somma di denaro, per avere il diritto temporaneo o permanente di fruire delle loro opere, se provate il desiderio di poter godere a pieno di qualcosa che voi non sapreste fare ma che vorreste imparare a fare … allora noi siamo lieti di aiutarvi e di dirvi che siete giunti nel posto giusto.
Ciò che ci spinge a occuparci di narrazione artistica, a studiarne i principi universali e a insegnarli insieme alle soluzioni elaborate con essi dai più grandi artisti, è proprio il nefasto proliferare di quella «democratica» produzione dilettantesca che ora è stata elevata al rango di arte (siamo tutti musicisti, cineasti, scrittori …) e che non consente a chi la fa di viverci, perché chi la pratica al massimo può «scambiare» i suoi risultati, alla pari, con altri dilettanti come lui; proprio come si faceva un tempo quando, alla fine delle vacanze, si mostravano le diapositive del viaggio al vicino di casa ben sapendo che mai quello sarebbe stato disposto a pagare il pezzo di un biglietto per vedere i nostri risultati (e anzi attendeva il momento giusto per vendicarsi mostrandoci i suoi); proprio come si fa oggi sui social come Instagram dove l’esibizionismo infantile è appagato dando a tutti la possibilità di mostrare le proprie loro foto ad altri esibizionisti che mostrano le loro. In altri termini tutti cuciniamo e tutti andiamo a mangiare ogni tanto ad un ristorante, ma chi sarebbe disposto a pagare un ristoratore per un piatto che potrebbe cucinarsi da solo?
Dunque noi insegniamo «quel di più» che costituisce lo scarto tra «saper narrare» e «saper narrare in forma artistica». Noi studiamo e insegniamo a padroneggiare «i principi universali della narrazione artistica» per favorire la nascita di nuovi artisti e studiosi.
Crediamo infatti che sia necessario tornare a seminare, a investire cioè sulla formazione di nuovi artisti anziché:
– cercare invano talenti che non possono essere diventati tali di recente, non essendoci più artisti in grado di insegnare loro come diventarlo;
– considerare come nuovi artisti dei presuntuosi incapaci, in grado solo di recitare la parte dell’artista a favore di altri incapaci non in grado di distinguere un vero artista da un falso artista.
Anche se insegnare arte non implica riuscire a trasformare ciascuno in un grande artista, tuttavia può riuscire a fare di ognuno una persona migliore capace di capire e apprezzare l’arte anche se deciderà di non praticarla professionalmente. E noi pensiamo che questo dovrebbe essere uno scopo di quella quella scuola di base che non dovrebbe dimenticare di formare degli «umanisti» prima di dare ad essi una specializzazione per potersi guadagnare da vivere.
Per questo la nostra attività si rivolge tanto all’educazione di base quanto alla formazione professionale, e per questo il nostro team è stato composto sin dagli inizi da studiosi e autori da diversi campi artistici e scientifici, tutti interessati tanto a studiare come si fa arte quanto a insegnare a farla e studiarla.

Lo studio del testo artistico a diversi livelli e da diverse prospettive analitiche

Tenendo conto della complessità dei testi artistici – che costituiscono il nostro oggetto ideale di studio – e della preparazione richiesta ai fruitori – una la dotazione di strumenti più vicina a quella dell’autore di quanto si è disposti ad accettare – abbiamo concluso che lo studio ideale per avvicinarsi e far avvicinare alla comprensione di un capolavoro richieda un’indagine a più livelli e sotto diversi aspetti.
Di conseguenza riteniamo sia necessario dotarsi – dotare noi stessi e i nostri utenti – di una strumentazione scientifica interdisciplinare adeguata allo scopo, che tuttavia non fa parte degli strumenti messi di solito a disposizione degli studenti che frequentano la «materia» di studio a cui è riconducibile il testo artistico che si vuole prendere in esame.
Per tutte queste ragioni noi stessi formiamo i nostri collaboratori: per metterli in grado, cioè, sia di condurre studi a più livelli e da più prospettive, sia di poter insegnare come condurli ai loro allievi, attraverso la realizzazione di Cicli di lezioni in presenza o online, o attraverso l’elaborazione e la distribuzione di Sentieri Esplorativi e Sistemi di Studio Reticolare.
Lo studio a diversi livelli implica anzitutto – per alcuni tipi di testi – la necessità di distinguere tra lo studio del progetto e quello delle messe in scena e riscritture; ma implica anche la capacità di studiare – nella loro indipendenza e correlazione – i diversi piani espressivi e narrativi che concorrono al funzionamento di un oggetto complesso – qual è un capolavoro artistico – per poter riconoscere le soluzioni, per poter identificare quanto rappresentato su un piano e quanto su un altro, e per poter cogliere anche la complementarità dei piani stessi.
Sempre per quanto riguarda lo studio dei livelli di complessità del testo artistico, la nostra indagine da un lato è rivolta ad esplicitare la rete dei conflitti morali che si articola sul piano dell’intreccio, e da un altro a ricostruire le soluzioni narrative e le corrispondenti soluzioni espressive sui piani dei principi narrativi e compositivi utilizzati dall’autore per creare la struttura logica del racconto. Per quanto riguarda questi livelli più profondi di studio del testo artistico occorre però adottare diverse prospettive analitiche, corrispondenti a diverse teorizzazioni scientifiche per ogni principio adottato come criterio di indagine. Lo studio a diversi livelli e da diverse prospettive richiede una preparazione interdisciplinare che contempli l’adozione di strumenti scientifici paradossalmente non considerati di pertinenza umanistica. Parte dei nostri sforzi è stata rivolta a mostrare come la mancata adozione di strumenti scientifici adeguati alla complessità degli oggetti di studio sia la causa dei pregiudizi tecnici e ideologici che hanno frenato gli studi in questo campo e contribuito a divaricare ancora di più la separazione tra le scienze e le arti sin dalle prime fasi del processo educativo degli individui e fino alla formazione dei potenziali nuovi artisti e studiosi.

La multiplanarità narrativa ed espressiva, la narrazione artistica poliespressiva

La teorizzazione della «multiplanarità» espressiva e narrativa dei testi artistici è frutto di una nostra integrazione e del nostro sviluppo delle idee di Juri Lotman riguardo la molteplicità di piani narrativi dei testi artistici – la «semantizzazione dei piani espressivi» ovvero l’adeguatezza di questi rispetto al loro corrispettivo narrativo – e l’idea wagneriana di «opera totale», per la quale ogni piano espressivo ha un diverso valore e compito che lo rende indipendente e complementare agli altri, non subordinato ma integrato, per rappresentare la complessità di livelli dell’oggetto artistico. Per comprendere il ruolo svolto dai diversi piani espressivi siamo stati aiutati dalle teorie di altri studiosi e autori che ci hanno permesso di comprendere quali siano, nell’opera d’arte totale o come ci piace chiamarla «poliespressiva», i ruoli più adatti per la parola, la musica, le immagini, evitando ridondanza, indifferenza, subordinazione.

L’intreccio come ricostruzione del sistema di domande e risposte, riguardanti i conflitti morali dei personaggi, che correla le scene tra loro

Una delle cose che abbiamo scoperto studiando capolavori artistici in ogni forma espressiva e dedicando ad essi i nostri Sistemi di Studio Reticolare, è che i testi artistici non contengono «affermazioni», ma solo «domande» e «risposte», ovvero che ogni apparente affermazione può essere trasformata in domande che trovano implicita risposta in altre scene, o in risposte a domande presenti implicitamente in altre scene.
Ricostruire l’intreccio assumendo come soggetto della narrazione i conflitti interiori, morali, dei personaggi, aiuta a comprendere quali siano le intenzioni e le reazioni interiori che muovono le azioni dei personaggi.
Raggiungendo questo livello analitico si può accedere più facilmente all’ulteriore livello riguardante i principi narrativi utilizzati dall’autore per rappresentare i conflitti.
I nostri studi condotti sul piano dell’intreccio e su quello dell’architettura logica del testo artistico, per identificare tanto i conflitti morali quanto i principi narrativi racchiusi in ogni testo artistico, è il nostro contributo all’individuazione dei meccanismi di funzionamento dei testi narrativi, e in particolare artistici, per poter spingere l’analisi delle «costanti» oltre il livello delle «funzioni» di Propp, evitando le derive dietrologiche degli studi greimasiani.

L’adeguatezza tra le forme espressive e quelle narrative

Il nostro modus operandi riguardo lo studio e la didattica della narrazione in ogni forma espressiva mostra come la composizione del testi non sia mai «asemantica», ma sempre connessa alla struttura logica del racconto; partendo dalle soluzioni espressive e identificando per ognuna di esse le complesse soluzioni narrative, rappresentate sempre nella forma più «adeguata», mai arbitraria, ricostruendo il «sistema di correlazioni» creato dall’autore, si arriva a scoprire come non vi sia posto per casualità, rumore, entropia nella costruzione narrativa ed espressiva dei testi artistici.
La nostra idea di testo artistico travalica le forme espressive per racchiudere qualunque costruzione narrativa mono o poli espressiva, e considera il racconto come «sistema di unità narrative autonome e correlate tra loro».

Il testo artistico non forma il lettore ma presuppone e richiede un lettore preparato

Noi non crediamo che i grandi autori, nel creare i loro capolavori narrativi, debbano preoccuparsi né di formare i loro lettori, includendo nei loro racconti tutti i presupposti necessari per comprenderli, né che debbano svilirli per andare incontro a chi non è in grado di apprezzarli. Non pensiamo che un testo artistico debba anche essere un «trattato» su come esso si costruisce e come funziona. Piuttosto pensiamo a  quando le Botteghe dei maestri artisti della nostra Tradizione Umanistica erano aperte ai potenziali allievi-eredi e venivano soddisfatte quelle due condizioni essenziali per lo sviluppo e la diffusione dell’arte: formare nuovi autori e preparare il pubblico. Tuttavia questo non ha nulla a che vedere con quell’idea, diffusa dalle derive semiologiche, che che lo stesso testo artistico formi il proprio lettore e gli fornisca tutto ciò di cui ha bisogno per comprenderlo. Crediamo invece che «presupponga» conoscenze e competenze, e che «induca» il lettore a porsi domande e a cercare altrove le risposte, a compiere cioè quell’attività di esplorazione «intertestuale» che, insieme a quella «intratestuale» è parte del funzionamento della narrazione artistica. Questo non toglie, lo ripetiamo, che proprio gli artisti si debbano (a nostro avviso) preoccupare di formare non solo i loro allievi, cioè i nuovi autori, ma anche il loro pubblico, se non vogliono che quest’ultimo sia «formato» dalla cultura di massa e finisca per avere, nei confronti dei testi artistici, l’atteggiamento della volpe con l’uva. È agli artisti che chiediamo di tornare a svolgere quel ruolo di maestri di Bottega che ora possiamo attribuire loro virtualmente trasformando le loro opere in Sistemi di Studio delle loro innumerevoli e non comuni competenze.

La narrazione indiretta

Mentre nei testi non artistici la narrazione tende ad essere esplicita e diretta, in quelli artistici per la loro stessa natura (o dovremmo dire «struttura») è indiretta, e invita il lettore a ricavare informazioni implicite da quelle che quelle che riceve, e a ricavarne ulteriori correlandole ad altre che già possiede.

La sfida tra l’autore e il fruitore, la partita truccata, le previsioni del lettore

Studiando i testi artistici ci siamo resi conto che le tante domande suscitate da ogni scena di un racconto ben costruito costituiscono altrettante «sfide» per il lettore/spettatore a prevedere le «mosse» dell’autore, immaginare i possibili sviluppi del racconto e quelli che verranno attuati dall’autore. In questa «partita truccata» con l’autore ogni «congettura» del fruitore è prevista dall’autore, che elabora le sue soluzioni includendo non solo quelle che si attueranno «sintagmaticamente», ma anche quelle che potrebbero attuarsi «paradigmaticamente»; quelle cioè su cui il fruitore scommette formulando congetture – sulla base delle sole e insufficienti informazioni in suo possesso – che poi è costretto a «riformulare» quando l’autore gli consentirà di acquisire nuove informazioni muovendosi nel suo «labirinto narrativo».

Lo studio delle «variazioni sul tema» come dialogo tra artisti, e lo studio degli «archetipi» della narrazione come «modelli logici» generatori di innumerevoli variazioni

Lo studio dell’opera di un autore intesa come corpus dei suoi progetti, insieme allo studio delle opere di autori «parenti» (allievi e maestri, diretti o indiretti) ci ha fatto comprendere come le «variazioni sul tema», o meglio su «temi archetipici universali», è il modo con cui gli autori si parlano, tra loro, sviluppando possibilità logiche, non attuate, di grandi progetti condivisi.

Interpretazione e comprensione

La nostra battaglia contro la «dietrologia» e la «sovrainterpretazione» dei testi artistici ci ha portati a intendere l’«interpretazione» come operazione esclusivamente progettuale: quella che mettono in atto coloro che da una commedia, da una sceneggiatura, da un libretto, da una partitura traggono appunto delle «interpretazioni» al contempo originali e rispettose del progetto autoriale.
Per quanto riguarda invece l’«analisi» dei testi, ciò a cui miriamo è la «comprensione», pur sempre parziale e mai definitiva, del testo, sottraendo al fruitore quel ruolo, esaltato dalla semiotica, di «cooperatore» all’attuazione del testo stesso. Il nostro studio dei testi artistici ci ha convinti che gli autori non formino i lettori ma presuppongano lettori «preparati» e li inducano a cercare, altrove, ciò che essi presuppongono, dal momento che nei loro testi nulla è lasciato al caso; ogni congettura del fruitore è da loro prevista proprio come ogni suo respiro, ogni attesa e sorpresa; e dunque i lettori/spettatori devono arrivare preparati a questa sfida o uscire temporaneamente dal testo per prepararsi ad essa. La comprensione dei testi artistici necessita l’acquisizione preliminare di competenze adeguate, cioè più vicine possibile a quelle dell’autore, affinché il fruitore, quand’anche non sia lui stesso un autore per passione o professione, conosca le regole del gioco e sia preparato a fare la parte che i capolavori richiedono per poter svelare le ricchezze racchiuse in essi.

Ricevere e ricavare informazioni

Considerando il racconto artistico come una sorta di «scena del crimine», ogni lettore/spettatore è invitato ad imparare a «vedere», cioè ad indossare le lenti più adatte per scoprire quello che non può cogliere a prima vista, senza adeguata preparazione. Per questo noi distinguiamo tra le informazioni che l’autore dissemina esplicitamente nel testo rendendo assai facile al suo fruitore «riceverle», e quelle che invece pretende e si augura che il lettore esperto sia in grado di «ricavare» da esse e dalla correlazione con quelle che ha già ottenuto da altre parti del testo o da altri testi. Dal momento che i testi artistici sono per loro natura estremamente «sintetici», va considerata parte della loro struttura il «non dire» «direttamente», ovvero il «dire indirettamente», mettendo in moto la capacità conoscitiva, congetturale del lettore/spettatore.

Studio progettuale e studio analitico

Il concetto di «studio» nel nostro lessico sta a indicare tanto l’attività di costruzione progettuale quanto quella di ricostruzione cognitiva attraverso l’analisi poliprospettica e multiplanare del testo.

Lo studio delle correlazioni implicite tra testi a livello intra e inter testuale, la ricostruzione della rete di correlazioni interne ed esterne ai testi artistici

Studiare i testi per noi equivale ad esplicitare la rete di correlazioni implicite che collega le articolazioni interne di un testo tra loro e a quelle di altri testi attraverso una molteplicità di domande e di risposte, generate dalle soluzioni che l’autore ha elaborato in base a principi di narrazione comuni e condivisi

Le correlazioni implicite

Riteniamo che uno dei problemi maggiori che affligge l’educazione scolastica stia nel modo in cui i ragazzi apprendono, ovvero nel modo con cui gli educatori – non – insegnano loro ad apprendere. L’ambiente educativo a cui affidiamo i nostri ragazzi non privilegia le correlazioni ma l’apprendimento separato di ogni nozione; propone un tipo di apprendimento che non solo scollega le «competenze» dalle «conoscenze», ma tratta il sapere come una catasta di oggetti tra loro non comunicanti – le cosiddette «materie» – separandole tra scientifiche, artistiche e tecnologiche, in modo che: gli oggetti artistici siano trattati sono dal punto di vista storico e sociologico, le scienze senza mai applicarle agli oggetti artistici, e la tecnologia come qualcosa di applicabile solo all’utile e al quotidiano.
Il tipo di apprendimento che la scuola attuale propone va contro la crescita dell’intelligenza, cioè lo sviluppo delle «capacità elaborative», e per giunta finisce per non far acquisire neppure quelle nozioni, quei saperi separati che vorrebbe inculcare usando l’ideologia per cercare di renderle più attraenti.
La scuola fornisce giudizi e conclusioni ma non strumenti di giudizio – cioè strumenti di elaborazione e di analisi – anche perché non è in grado di farlo.
Le stesse «scienze» non sono trattate come «metodo» ma come risultati di qualche «geniale» scoperta senza che il metodo stesso della ricerca scientifica divenga mai oggetto di studio meta-teorico e strumento di indagine testuale. Meno che mai poi il metodo scientifico (che nel mondo “liquido” – e già del “pensiero debole” – è equiparato a una «fede») viene applicato all’arte, la quale viene trattata come se fosse qualcosa di innato, un dono destinato solo ad alcuni fortunati mortali considerati alla stregua di personaggi leggendari e mitologici, non confrontabili con gli uomini comuni che si devono accontentare della «cultura di massa». Questo assunto, o meglio pregiudizio, giustifica la scelta di non provare neppure a insegnare come si crea arte, come la si fa, come funziona, come la si può studiare.
Ciò che al momento rende vano ogni sforzo di rinnovamento da parte della Scuola, quand’anche in buona fede, è il presupposto che occorra inculcare nozioni separate e mai correlate tra di loro. Anche il tentativo attuale di correre ai ripari usando «mappe concettuali» e «collegamenti» non è che un’ammissione di colpa a cui non segue un’adeguata ricerca di soluzioni. I «collegamenti interdisciplinari» di cui l’attuale scuola si vanta di saper insegnare a fare – quando invita gli studenti a creare mappe collegando “la corsa alla luna” con qualche “poesia sulla luna” – evidenzia l’inadeguatezza di questa scuola che induce gli studenti ad affidarsi agli «automatismi», ai «luoghi comuni», al «senso comune» (magari quello che circola nei social network per sentirsi più «moderni») piuttosto che proporre un antidoto ad essi.
Anche quando Umberto Eco propose, con il progetto “Enciclomedia”, uno strumento per lo «studio interdisciplinare», ciò che aveva in mente – per sua ammissione pubblica – non era altro che un «bignami» digitale enciclopedico in cui fosse più agevole saltare da un saggio divulgativo all’altro per memorizzare le «correlazioni esplicite storico-geografiche» tra le nozioni.
Quello che invece sembra assai difficile da introdurre nella scuola è lo studio metodologico delle «correlazioni implicite» tra «fenomeni non immediatamente correlabili tra di loro», quel metodo scientifico con cui si studiano ed elaborano soluzioni culturali complesse come le «scoperte scientifiche», le «invenzioni tecnologiche» e le «creazioni artistiche».
La Scuola sta perdendo ancora una volta la guerra contro il degrado culturale, mettendo in campo armi spuntate, docenti impreparati e manuali inadeguati, ma soprattutto una politica educativa sbagliata che vuole fare della Scuola soltanto uno strumento per formare «automi umani» meno costosi di quelli che ancora la tecnologia non può offrire.
Questa Scuola non è adeguata e preparata per formare gli artisti, gli scienziati, e meno che mai i maestri del futuro, perché non fa crescere gli studenti, ma anzi fa odiare loro lo studio e detestare i «classici», cioè quei capolavori del passato in cui sono racchiusi proprio quegli insegnamenti necessari per formare gli autori, gli studiosi e i didatti del futuro.
Nella scuola attuale le scienze sono studiate separatamente tra loro, mai ricercando i denominatori comuni, mai indagando la loro complementarità, e mai le metodologie di analisi. D’altro canto le arti sono trattate come «materie» apparentemente ininfluenti l’una sull’altra, come se la musica, il teatro, la letteratura, e persino il cinema, non fossero fatte con la stessa logica, con la stessa materia narrativa e spesso anche con la stessa materia espressiva; come se non si ispirassero tra loro, … ma soprattutto come se l’arte non si studiasse e non si facesse proprio con la scienza, e con un largo impiego di soluzioni tecnologiche adottate e adattate dagli stessi artisti, e con la materia narrativa ed espressiva memorizzata attraverso la fruizione di altri capolavori artistici di ogni forma espressiva.
Per cambiare questa Scuola è necessario cambiare il metodo di apprendimento. Solo così riusciremo a far amare lo studio ai ragazzi, a far loro scoprire il piacere di indagare e di creare in modo rigoroso oggetti complessi, quegli oggetti da cui, se non imparano a trattarli fin da bambini, verranno esclusi per tutta la vita.
In una Scuola ideale qualunque nuova informazione dovrebbe essere correlata a tutte le altre già acquisite, ogni nuovo oggetto di studio dovrebbe essere osservato e analizzato da diverse prospettive, ed ogni nuova prospettiva dovrebbe essere esplicitata, definita e applicata a nuovi e vecchi oggetti, ma anche analizzata nei suoi presupposti teorici e nelle correlazioni con altre teorie.
Nella Scuola che vorremmo contribuire a riformare si dovrebbero studiare quelle correlazioni implicite tra oggetti di diversa natura, considerati sbrigativamente troppo distanti per cercare correlazioni tra loro, e separati in diverse materie di studio. Proprio quegli oggetti sono i fenomeni ideali per imparare a scoprire meccanismi condivisi, per identificare le medesime soluzioni rese non immediatamente percepibili perché nascoste dietro i diversi utilizzi delle stesse.
Nella Scuola che cerchiamo di ricostruire almeno virtualmente, la parola, anziché ostacolare, dovrebbe aiutare a cogliere le correlazioni; attraverso lo studio «meta-linguistico» del linguaggio stesso si può arrivare a far scoprire l’utilità di un linguaggio logico astratto con cui padroneggiare fenomeni complessi. In questa scuola almeno per i primi 10 o 12 anni non dovrebbe esserci interesse alcuno a specializzare settorialmente lo studio, ma dovrebbe essere invece prioritario approfondire trasversalmente le correlazioni tra gli studi e favorire lo sviluppo dell’intelligenza come capacità di ricavare, elaborare e analizzare qualunque tipo di informazione.
Ciò che noi stiamo proponendo come strumento a sostegno di questa Scuola così malridotta – o alternativo ad essa qualora non sia più possibile un’efficace collaborazione – è una nuova tipologia di sofisticati Sistemi di Studio Reticolare, adatti per praticare un’attività realmente interdisciplinare, che consenta di apprendere insieme competenze e conoscenze, correlando le une alle altre, e facendo convergere su qualunque progetto tutte le competenze scientifiche che occorrono per trattarlo dalla molteplicità di prospettive necessaria per poterlo analizzare e realizzare.
I nostri Sistemi di Studio Reticolare sono stati pensati per favorire insieme lo studio di oggetti complessi e l’apprendimento degli strumenti più adeguati per analizzarli e progettarli.
Lo stesso studio delle correlazioni implicite intra- e inter- testuali tra gli oggetti di studio è anche, contemporaneamente, un modo per riflettere sui criteri di correlazione, per apprendere quei principi di narrazione e composizione in base ai quali è possibile correlare e comparare i testi, e riconoscere le parentele implicite tra di essi.

La «Reticolarità»

Quando parlammo per la prima volta di «Tele ipermediali», e mostrammo cosa intendevamo presentando progetti e prototipi di Tele dedicate a capolavori narrativi come Alice nel Paese delle meraviglie, a collaborazioni metanarrative come quella tra Truffaut e Hitchcock, a opere concepite come sistemi di variazioni come quella di Ernst Lubitsch, fu per differenziare anche nel nome i nostri «Sistemi di Studio Reticolare» da quegli ipertesti empirici e solo tecnologici (senza architettura logica reticolare) che cominciavano a circolare proprio sul «mercato educativo» (come «sussidi didattici») in forma chiusa e su disco, organizzati casualmente per associazioni meccaniche automatiche ed esplicite, proprio come avrebbe saputo fare una macchina nella ricerca di evidenti similitudini e collegamenti per nomi e date tra i testi raccolti.
Mentre tutti pensavano a nuovi “supporti” magnetici e ottici in cui rinchiudere piccoli percorsi ipertestuali da seguire “a proprio piacere” entro finti labirinti, mentre pensavano a “edizioni ipertestuali” come assemblaggi di documenti da collegare a un “testo centrale”, per «addobbarlo» con appendici, “note”, “espansioni”, “bonus” … noi mostravamo in occasioni pubbliche nazionali e internazionali (leggete la nostra storia) i primi prototipi di “Tele ipermediali” che non contenevano i dati oggetto di studio ma consentivano di esplorare un universo esterno ad essi – fatto di testi digitali offline o online memorizzati su differenti supporti e successivamente su server online – attraverso un reticolo di studi interdisciplinari, collegati tra loro, adatto a favorire lo studio di quegli oggetti da diverse prospettive e a far scoprire legami profondi non immediatamente percepibili tra di essi.
Mentre tutti pensavano che si potessero «ipertestualizzare» solo i manuali, le enciclopedie, i dizionari, creando collegamenti meccanici tra le «voci» per facilitare la «consultazione», e al contempo trattavano i romanzi come si è sempre fatto per le edizioni scolastiche analogiche, cioè aggiungendo ad essi delle «note esplicative» a piè di pagina, rese «pop-up» nelle edizioni digitali, … noi eravamo già arrivati a costruire «Sistemi» ipermediali dedicati non ad un solo testo con appendici e approfondimenti, ma ad una pluralità di testi correlati tra loro e studiabili da una pluralità di prospettive. Collegando virtualmente tra loro manuali scientifici e oggetti di studio artistici mostravamo come si potessero creare Sistemi di Studio rigorosi, interdisciplinari, non gerarchici,  implementabili, nei dati e nei criteri di correlazione tra i dati stessi. Applicando diversi approcci teorici a diversi oggetti di studio, l’utente dei Sistemi poteva studiare al contempo le «teorie» e gli «oggetti »di studio, imparando ad elaborare lui stesso «studi» rigorosi – attraverso l’esempio -, verificando la bontà delle teorie scientifiche e comprendendo maggiormente i testi grazie a diverse prospettive di studio.
Da questa sperimentazione sono nati quelli che noi ora chiamiamo «Sistemi di Studio Reticolare», per indicare un’integrazione virtuosa tra:
A) teorie scientifiche di grandi studiosi in differenti campi che non sono mai state considerate applicabili a testi artistici,
B) classici della narrazione rieditati in forme rispettose dei progetti degli autori, cioè senza modificare e «attualizzare» i loro testi ma soltanto articolandoli in parti (secondo le implicite articolazioni dell’autore) e dotandoli di «ancore» (linkabili da metatesti esterni) per ogni intrinseca articolazione;
C) studi sistematici in cui le articolazioni progettuali dei testi oggetto di studio sono analizzate da più prospettive corrispondenti a diversi approcci scientifici.
Quando parliamo di «reticolarità» – termine che abbiamo preferito all’abusato e male inteso «ipertestualità» – intendiamo che l’utente può esplorare correlazioni implicite interne ed esterne agli oggetti di studio adottando una molteplicità di criteri – principi scientifici – per poterle identificare; ma al contempo intendiamo che può anche identificare e studiare i principi di correlazione, decidendo se trattare il Sistema come un manuale (esemplificato nei testi oggetto di studio) oppure come una rete di testi oggetti di studio (da esplorare adottando criteri diversi per scoprire le loro implicite correlazioni).
Alcuni studiosi ci hanno domandato perché mai non chiamiamo i nostri «Sistemi» semplicemente «Studi» su oggetti artistici. La ragione sta nel fatto che nei nostri Sistemi, oltre gli Studi poliprospettici, sono integrate virtualmente (correlate) anche le teorie assunte esplicitamente come criteri di studio, e non di meno ne fanno parte anche gli oggetti di studio, esterni ma correlati dagli studi. Di conseguenza noi possiamo realizzare studi multiprospettici collegando indirettamente le teorie e gli oggetti di studio tra loro, ricercando da un lato applicazioni testuali delle teorie, e da un altro le teorie più adatte per poter analizzare gli oggetti di studio.
Gli Studi sono una parte del sistema, quella elaborata specificamente da noi, e riguardano non solo le applicazioni delle teorie ma anche la ridefinizione dei concetti teorici che noi assumiamo come presupposti.
Se le lezioni in cui ridefiniamo i concetti teorici rimandano a esposizioni teoriche esterne e preesistenti ai nostri studi, i nostri studi rimandano ad oggetti di studio che confrontiamo, correliamo e analizziamo con i principi teorici che abbiamo assunto come strumenti di studio.
Il reticolo logico è costituito principalmente dai nostri Studi Poliprospettici, tutti correlati bidirezionalmente tra loro in modo che da ognuno di essi si possa saltare a studi da differenti prospettive riguardanti lo stesso oggetto, oppure a studi dalla medesima prospettiva riguardanti nuovi oggetti, scoprendo così correlazioni implicite e indirette tra gli oggetti di studio.
In un Sistema di Studio Reticolare le teorie scientifiche – che di solito non dialogano tra loro e non sono applicate a oggetti artistici – si trovano a dialogare tra loro e con oggetti di forme espressive e mediali differenti tra loro. Le teorie che noi adottiamo come strumenti di studio sono di solito considerate a tal punto irrelate e irrelabili tra loro, e meno che mai agli oggetti a cui noi le applichiamo, da costituire ambiti disciplinari che persino gli esperti, gli studiosi, i critici, e gli autori oggi non considerano di loro pertinenza né parte della loro formazione (ma davvero pensate che il cinema si studi e si faccia solo con il cinema?).
Lo studio reticolare dei testi artistici è un uovo di colombo che sfugge anche a chi crede di aver capito di che si tratta, perché se anche  decidesse di studiare un testo scena per scena da una molteplicità di prospettive … non si chiederebbe poi a quali altre scene è applicabile ciascuna delle prospettive di studio adottate, e non arriverebbe di conseguenza a creare un Sistema in cui si possa partire tanto dalle scene quanto dai principi per ricercare le correlazioni tra di esse in base ai principi condivisi. Meditate …

Il «Sistema Cognitivo» come nuovo manuale per lo studio sistematico di un’opera d’arte

La manualistica ci ha sempre interessati, sin da quando ci siamo accorti di gravi assenze o inadeguatezze nei campi di cui ci occupiamo, e in particolare da quando, con la svolta digitale, ci si è chiesti come quest’ultima avrebbe potuto aiutare la costruzione di manuali non solo più efficaci da consultare ma addirittura adatti per insegnare cose che molti ritengono addirittura che non possano essere insegnate. “L’arte è un dono innato, pochi ce l’hanno e perciò pochi diventano artisti”, sentiamo dire da sempre. Una delle nostre scommesse è mostrare che si può insegnare a fare e a studiare arte, sia per farne una ragione di vita e un mestiere, sia per farne uno strumento di crescita intellettiva e morale.

Il «Sentiero Esplorativo» come viaggio inter e intra testuale

Sin dagli inizi della nostra attività abbiamo pensato a uno strumento adatto per realizzare e distribuire strumenti di studio rivolti all’infanzia, alla scuola, agli educatori. Tra le finalità del nostro Istituto vi è infatti quella di suscitare o «resuscitare» interessi per la narrazione artistica nelle nuove generazioni (interessi spesso spenti nel nascere proprio dalla Scuola che non riesce a far amare i classici). Molti dei nostri strumenti di studio sono stati concepiti per finalità prettamente educative, per far acquisire agli utenti intermedi (gli Educatori) e a quelli finali (i loro allievi) gli strumenti necessari per esplorare e indagare l’universo narrativo dei capolavori per l’infanzia e apprendere gli insegnamenti in essi racchiusi. Per ottenere questo risultato abbiamo ipotizzato e realizzato, prima offline e ora online, appassionanti «viaggi intertestuali e multimediali», che abbiamo denominato “Sentieri Esplorativi”. Si tratta di viaggi tra racconti imparentati con il racconto preso in esame (racconti di altri autori, maestri ed eredi) che condividano con l’oggetto di studio in almeno una scena alcune delle soluzioni in esso presenti. I viaggi si sviluppano inseguendo soluzioni simili a quelle con cui è costruito il racconto a cui si vuole interessare l’allievo, ma presenti in racconti più vicini all’universo culturale del nostro destinatario, che quindi potrebbe già aver conosciuto e apprezzato pur senza aver mai riflettuto su come essi sono fatti. I viaggi tra questi racconti realizzati con diverse forme espressive, che presumiamo siano almeno parzialmente a lui noti, sono articolati in modo da portarlo gradualmente a scoprire come le soluzioni incontrate e riconosciute durante i viaggi stessi siano utilizzate, anche meglio, nel racconto che viene gradualmente sottoposto, scena per scena, alla sua attenzione. Così insegniamo ai nostri giovani fruitori come scoprire di cosa è fatto il nuovo racconto che vogliamo invitarli a conoscere, facendone emergere le qualità attraverso il confronto con altri racconti e l’esplicitazione dei meccanismi condivisi. In questo modo il capolavoro a cui vogliamo avvicinare il nostro utente finisce per apparirgli composto con le medesime soluzioni riconosciute in racconti da lui già esplorati, ma usate e sviluppate con più efficacia da un vero artista. Le esplorazioni intertestuali, che apparentemente allontanano dal racconto a cui è dedicato il Sentiero Esplorativo, riportano il viaggiatore ipertestuale indirettamente ad esso, facendolo apprezzare proprio grazie al confronto, con gli altri racconti, per i «denominatori comuni»; quei denominatori non immediatamente percepiti ma divenuti riconoscibili una volta che i diversi racconti siano stati ricondotti ai medesimi elementi e alle medesime regole di narrazione e composizione con cui sono stati composti, e una volta identificati i meccanismi di funzionamento condivisi.

Lo studio «metateorico» e i «metaipertesti»

Alberto Cirese, uno dei nostri più amati maestri, ci ha insegnato che uno studio che esiga rispetto – non solo aiutando gli studenti a «comprendere» come è fatto un determinato oggetto di studio ma anche insegnando loro un «metodo» di indagine – dovrebbe prendere in esame preliminarmente i «presupposti teorici» adottati implicitamente, cioè dovrebbe considerare come parte integrante dello studio stesso la «riflessione esplicita sugli strumenti di indagine».
Per questa ragione consideriamo imprescindibile l’«esplicitazione», l’eventuale «ridefinizione» e la «rigorizzazione» degli «strumenti metodologici» che adottiamo, anche quando li consideriamo i più efficaci per trattare un nuovo oggetto o progetto.
Per questo, parte della nostra ricerca è sempre orientata a ricercare, indagare e definire gli strumenti di indagine e di esplorazione più adatti per far emergere aspetti e livelli, altrimenti irraggiungibili, nei nostri oggetti di studio.
La «complementarità» e l’«interdisciplinarità» degli strumenti di studio sono condizioni ineliminabili della nostra attività. Parte della nostra Bibliomediateca è infatti dedicata alla ricerca scientifica intorno al «metodo» della ricerca scientifica stessa, e raccoglie testi scientifici che illustrano quelle teorie che ci possono aiutare maggiormente a identificare aspetti degli oggetti artistici che altrimenti rimarrebbero invisibili.
Nei nostri Sistemi di Studio Reticolare i nostri studi «metaipertestuali» collegano indirettamente ogni principio teorico, da noi assunto come strumento di studio, a una pluralità di oggetti di studio a cui vogliamo applicarlo, e d’altro canto collegano ogni oggetto di studio a una pluralità di principi applicabili ad esso.
«Metaipertesto» è un termine che che abbiamo dovuto coniare per indicare che i nostri studi non sono semplicemente testi che parlano di testi, ma testi che parlano di relazioni tra testi (meta-iper-testi). I nostri studi metaipertestuali prendono in esame sia i testi che costituiscono l’oggetto del Sistema, sia la natura delle loro implicite correlazioni. Un metaipertesto parla di un testo da un punto di vista teorico che lo collega ad altri testi, ovvero parla del principio teorico che costituisce il criterio di correlazione, e delle sue possibilità applicative. Nei nostri Sistemi lo studio metateorico dei principi convive con lo studio applicato dei principi stessi. E dal momento che si studia un medesimo oggetto testuale (una scena, un’articolazione di un capolavoro narrativo) da una molteplicità di principi teorici, e al contempo si studia un medesimo principio in una molteplicità di applicazioni testuali che aiutano a definirlo, si arriva a ottenere una «rete intra e inter testuale» che consente di navigare tra i testi indagando al contempo gli oggetti di studio (le articolazioni del racconto) e la natura delle loro correlazioni (i principi narrativi condivisi)

Sequenzialità e reticolarità, il «labirinto narrativo» e i viaggi conoscitivi per esplorare il labirinto

Alla luce dei nostri studi il racconto artistico appare come un «labirinto», non come una linea; di conseguenza l’«intreccio» si rivela come uno dei percorsi possibili e significativi all’interno di esso. La complessità dei testi artistici, o meglio dei progetti artistici, rende ogni testo visitabile mediante diversi e complementari viaggi intratestuali per esplorarne il labirinto architettonico. Quello che propone l’autore, disponendo le scene in modo che creino un percorso particolarmente informativo per il fruitore, invitandolo ad annodare i fili che collegano implicitamente domande lasciate aperte e risposte che giungono di scena in scena, non è che un percorso tra i tanti (certamente uno dei più informativi e interessanti), ma non infiniti, consentiti dal testo stesso, che in quanto labirinto consente di potervi accedere da ogni sua interna articolazione, poiché in essa vi sono domande tali da indurre il lettore/spettatore a saltare ad ogni scena che contenga risposte che ne costituiscono i presupposti logici di quella a cui ha avuto accesso. Questo vuol dire che il fruitore può visitare il testo sfruttando la relativa autonomia di ogni sua articolazione, ricercando e inseguendo da ognuna di esse i fili che la connettono alle altre. Un percorso compiuto crea una linea e genera l’illusione che il testo artistico sia solo una linea e non una rete in cui il tracciare una linea è solo un modo per percorrerla. La reticolarità progettuale dei testi artistici invita a rileggerli inseguendo i fili delle storie dei personaggi che si intersecano nell’intreccio.

La nostra idea di «valorizzazione» degli archivi di «beni narrativi»

Il nostro interesse per gli archivi dei grandi autori, da noi considerati potenziali maestri degli autori del futuro, consiste nel trasformare giacimenti di dati – che «giacciono» cioè inerti e irrelati – in Sistemi di Studio delle straordinarie competenze autoriali racchiuse in essi. Come? Esplorando le correlazioni tra i capolavori artistici rappresentati dalle innumerevoli risorse documentali, ed esplicitando i principi compositivi e narrativi condivisi tra essi.
Questa nostra idea di non lasciare gli archivi al solo interesse «archivistico», di specialisti di settore interessati solo alla loro tutela per il valore storico ed economico (data la loro rarità) dei documenti, corrisponde al nostro interesse, non già per i documenti «originali», ma per le potenzialità offerte dalla loro digitalizzazione. A noi interessa la possibilità di correlare le informazioni in essi contenute ad altre racchiuse in altri documenti, che in quanto digitali possono finalmente essere linkati virtualmente e indirettamente tra loro. Questa operazione, se ben condotta (creando testi editabili e articolati in parti «ancorabili»), consente di costruire «Sistemi di Studio Reticolare» che non presuppongono e non richiedono link «dagli» oggetti di studio («note») ma agevolano la creazione dei link «dai» nostri Sistemi «verso di» essi, sfruttando i loro «indirizzi assoluti online».
Nei nostri Sistemi, infatti, non sono i testi oggetto di studio che contengono link a varie «appendici» (o «addobbi» come li chiamiamo noi), ma sono gli studi «meta-iper-testuali» che contengono link, bidirezionali tra loro, e unidirezionali verso le risorse esterne – per offrire al fruitore la possibilità di cambiare prospettiva, allo scopo di studiare i medesimi oggetti di studio da diversi punti di vista, ovvero di mantenere la medesima prospettiva, allo scopo di scoprire una molteplicità di oggetti di studio trattabili attraverso il medesimo punto di vista.
La possibilità di fare di questi archivi l’oggetto ideale da cui ricavare insegnamenti, per affinare il gusto e per esercitare quanto appreso sul piano metodologico in studi e lezioni, oltre che per poter finalmente comprendere i progetti degli autori, rende la «valorizzazione» degli archivi una parte fondamentale del nostro piano contro il degrado culturale in cui viviamo. Il nostro piano non consiste infatti solo nella tutela degli archivi, ma anche nella loro «valorizzazione iperinformativa»,  in un modo e con un senso fino ad oggi mai supposto tanto da chi li possiede fisicamente quanto da chi ne detiene i diritti d’uso e da chi si preoccupa della loro tutela.
Il nostro interesse è rivolto in particolare agli archivi di «beni narrativi», intendendo con questo termine non beni “immateriali”, come erroneamente vengono a volte denominati, ma beni il cui valore non risiede nei «supporti» su cui sono conservati (memorizzati) ma nelle informazioni che essi continuano a trasmettere a chi sa come ricercarle – slegandoli dai supporti originali e rendendoli fruibili anche a distanza su cloud – e nel valore aggiunto iperinformativo che scaturisce dalla correlazione con altri documenti anche di altri archivi. Tra i beni narrativi che possono rivestire interessi di diverso tipo, anche storico e antropologico, a noi interessano specificamente quelli che a volte vengono riconosciuti come «patrimonio dell’umanità», perché possiedono qualità che se adeguatamente valorizzate possono far loro superare ogni confine temporale geografico e sociale; capolavori di valore universale per i quali riteniamo si possa usare per una volta propriamente la parola «arte». Se essi sono stati un buon investimento sul futuro da parte di chi li ha realizzati o aiutato a realizzarli, legando il proprio nome all’immortalità dell’opera, riteniamo possa essere un investimento altrettanto buono fare di essi gli strumenti e gli oggetti ideali di studio per chi voglia ancora apprendere come si fa e come si studia l’arte.